Recensione
Da quando via Tortona è diventata il regno dell'alta moda e del design, tutto il quartiere che la circonda è risorto a nuova vita, popolandosi di stilosi locali notturni e di (costosissimi) ristoranti all'ultimo grido per viveur milanesi o aspiranti tali. Fa quindi ancora più effetto varcare la soglia dell'antica Trattoria Aurora e ritrovarsi catapultati in un altro secolo: a dispetto del nome, siamo di fronte a un grande ristorante all'antica, immerso in un'incantevole atmosfera liberty e con tanto di spazioso giardino estivo. Ma ad attirare da queste parti la clientela non sono soltanto il servizio impeccabile e la cortesia d'altri tempi: il pezzo forte del locale è un menu di fortissima ispirazione piemontese, con la possibilità (solo su prenotazione!) di gustare addirittura il tradizionale fritto misto, una vera rarità a Milano.
Che all'Aurora, malgrado il clima austero, non ci si neghi alcun piacere gastronomico lo si intuisce già dagli antipasti: già corposi quelli della casa (sformatino di ricotta e spinaci, peperoni arrosto, patè di fegato d'anatra, salame e pancetta), a cui si affiancano leccornie come carne cruda all'albese (15 euro) e carpaccio di fassone. La vera sfida è però la bagna cauda (12 euro) con verdure di stagione, uno dei tanti cavalli di battaglia della cucina. Tra i primi domina la pasta fatta in casa (10 euro): agnolotti con sugo d'arrosto, tajarin ai funghi porcini, i tipici rabaton (gnocchi di ricotta) con verdure e noci, e anche qualche piatto più "mediterraneo". In alternativa i risotti (12 euro), tra cui quello al Barolo e funghi e la classica panissa vercellese.
Ovviamente incentrati sulla carne i secondi: tartare, filetto, una prelibata costata di bue grasso di Carrù, arrosto al latte, tagliata di fassone con patate (20 euro). Eccezionale il brasato con polenta, e per gli irriducibili meneghini non mancano neppure l'ossobuco con risotto e la cotoletta (ma con un tocco piemontese: funghi e fontina). Abbastanza canonici i dolci, molto ben assortita invece la cantina, con tante etichette dal Piemonte e non e un più che discreto Barbera della casa.
Come accennato, una delle attrazioni (se non la principale) è il gran fritto alla piemontese: 32 euro per almeno 15 "pezzi" serviti a cadenza regolare. Attenzione a non abbuffarsi perché arrivare in fondo non è da tutti, ma al contempo è un'esperienza da non perdere! Dopo un inizio "soft" con peperoni e zucchine, si procede spediti con qualche assaggio di pesce (persico, salmerino) e persino gamberi e rane, prima di passare alla carne vera e propria: cotolettine, salsicce, galletto, il prelibato filetto, e poi i pezzi forti non per tutti gli stomaci, come batsoà (piedino di maiale), cervello, animelle, fegato, cuore e rognone. Impeccabile e persino leggera, compatibilmente con le quantità, la frittura. Per finire ecco il dessert, naturalmente in padella: mele fritte, semolino dolce e amaretti di Mombaruzzo, entrambi paradisiaci. E dopo tutto questo ben di Dio come farsi mancare una grappa offerta dalla casa?