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Il mondo è già cambiato

Chi non fosse passato per Torino dal 25 al 29 ottobre potrebbe coltivare il dubbio che in fondo sia successo poco o niente, che gli ennesimi numeri impressionanti sciorinati dagli organizzatori del Salone del Gusto e Terra Madre220mila visitatori con un incremento del 10%, 16mila partecipanti alle 56 conferenze, 8000 studenti, 15mila app scaricate – siano soltanto ordinaria amministrazione per una manifestazione ormai standardizzata, sia pure con la sua atipica cadenza biennale. Invece è tutto il contrario, e se si può parlare dell'edizione "più bella di sempre" del festival di Slow Food è perché davvero, nei cinque giorni del Lingotto, è accaduto qualcosa di nuovo e di travolgente. L'unione con Terra Madre (l'incontro mondiale delle Comunità del Cibo composte da agricoltori, allevatori e produttori), lungi dal costituire un semplice matrimonio di convenienza, si è rivelata essenziale per dare un'impronta nuova all'intera manifestazione: per la prima volta il grande pubblico ha potuto partecipare in prima persona a incontri e convegni sul futuro dell'alimentazione (e, quindi, del nostro pianeta) e, di converso, toccare con mano e assaggiare i prodotti delle comunità agricole di mezzo mondo, finalmente dotate di un intero padiglione a loro disposizione. Il modo migliore, se non l'unico, per assimilare il messaggio che Slow Food sta tentando di trasmettere da anni: mangiare non vuol dire solo nutrirsi, ma anche arricchirsi culturalmente, condizionare l'economia e la società, in fin dei conti "cambiare il mondo", come recita lo slogan della manifestazione.

Poi, certo, il Salone è sempre il Salone, con i suoi corridoi a perdita d'occhio e la folla oltre ogni previsione già a partire dalla giornata di venerdì, e per goderselo nel migliore dei modi occorre un utilizzo consapevole. Ci sono almeno quattro modi per avvicinarsi alla manifestazione torinese, distinti e complementari: c'è chi fa il turista, lasciandosi trascinare dalla curiosità e dall'appetito alla scoperta delle eccellenze gastronomiche del pianeta, e chi ha già l'occhio da compratore, pronto a portarsi a casa prelibatezze difficilmente raggiungibili nella vita di tutti i giorni. C'è un approccio culturale, volto ad apprendere quanto più possibile da dibattiti, tavole rotonde e presentazioni (ce ne sono state decine, dai libri ai progetti di recupero del cibo sprecato), e ce n'è uno didattico, incentrato sulla partecipazione ai laboratori, alle degustazioni e agli immancabili Master of Food. La scelta migliore è ovviamente quella di mescolarli tutti, compatibilmente con il tempo a disposizione, visto che praticamente ogni stand nasconde il fascino di una produzione artigianale e di una storia da raccontare. La realtà è che purtroppo è facile fermarsi al primo livello, considerando il Salone come una semplice mostra-mercato e perdendo un'ottima chance per accrescere le proprie conoscenze in materia di nutrizione, agricoltura, economia: triste, per esempio, vedere solo una decina di persone alla proiezione di "LoveMEATender", un documentario sulla filiera della carne che meriterebbe di essere mostrato quotidianamente in prima serata a tutti i consumatori.

 

Suggestioni, profumi e sapori dei tre padiglioni su cui si è articolato il Salone (più di 80mila metri quadri di esposizione) sono tanti da rimanere storditi e da rendere impossibile ogni rassegna. Ogni genere di prodotto alimentare era rappresentato a Torino, dalla carpa affumicata della Polonia al mandarino tardivo di Ciaculli, dal Pallone di Gravina (tipico formaggio tondo pugliese) al "sago pudding" malese, un dolce a base di una sorta di tapioca con sciroppo di palma e latte di cocco; su tutti vince però la birra artigianale, un fenomeno esploso negli ultimi anni fino a diventare grande protagonista della rassegna, con decine di stand e di produttori da ogni regione.
Impossibile poi non citare i cibi di strada, dal cacciucco livornese al palermitano pani c'a meusa; la frequentatissima Piazza della Pizza, l'Enoteca con centinaia di vini da tutta Italia, la curiosa "smoking room" di sigari toscani. E poi ancora una degustazione guidata alla scoperta del fritto di verdure laziale, un laboratorio sul recupero dei prodotti alimentari a cura dello chef napoletano Antonio Tubelli, un interessante dibattito sulla grande distribuzione con protagonista il fondatore di Eataly, Oscar Farinetti.

"Nonostante il difficile periodo che stiamo attraversando – nota in conclusione il presidente di Slow Food, Roberto Burdese – molti prodotti del Mercato erano esauriti già domenica sera, denotando una sempre maggiore attenzione del pubblico ai cibi di alta qualità. È tempo che lo stato di salute del comparto agroalimentare diventi la cartina di tornasole per comprendere la condizione del paese". E nel concomitante Congresso Internazionale di Slow Food il "deus ex machina" Carlo Petrini ha esortato così i delegati: "Il nostro impegno non deve fermarsi, e gli obiettivi sono ambiziosi. Nei prossimi quattro anni dobbiamo continuare il lavoro in Africa con sempre maggiore convinzione, e dobbiamo alimentare l'Arca del Gusto con nuovi prodotti tradizionali e varietà autoctone a rischio di scomparsa". Ne riparleremo nel 2014 ma, speriamo, anche molto prima.

Il paradosso di Farinetti - Ripensare la grande distribuzione
Voci dal Salone: Un brindisi con La Zia Ale
Voci dal Salone: Non rompeteci i timpani
Voci dal Salone: Alacce nel paese delle meraviglie
Voci dal Salone: Davide Scabin e la pasta da passeggio
Voci dal Salone: Un bicchierino di storia
LoveMEATender
- Un documentario sulla filiera della carne

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