Dimmi quel che mangi...
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- Pubblicato Giovedì, 30 Ottobre 2008 11:09

Ogni descrizione rischia di risultare inadeguata per un evento in grado di richiamare oltre 180.000 visitatori in cinque giorni, e che su uno spazio di più di 60.000 metri quadrati riesce ad accorpare 432 bancarelle (il 25% in più rispetto al 2006), 188 stand, 26 aree ristorazione organizzando per di più circa 400 tra degustazioni, laboratori, conferenze e incontri.
Si sappia però, una volta per tutte, che i superlativi non sono di circostanza.

Per questi motivi l’attenzione mediatica rivolta al Salone è stata ben superiore rispetto alle precedenti edizioni e gli organizzatori non hanno mancato di sfruttare l’occasione, innanzitutto piazzando proprio all’inizio del percorso di visita la Strada Maestra: una serie di stand e installazioni che poneva l’accento sui temi cari a Slow Food, dalla giustizia sociale alla sostenibilità, dalla lotta agli sprechi al rispetto dell’ambiente (tutta la manifestazione è stata realizzata con tecniche e materiali a basso consumo, e ovunque campeggiavano contenitori per la raccolta differenziata). Un Salone programmaticamente pedagogico, alla ricerca di un consumo più consapevole, il cui contenuto si riassume in tre parole: educa, tutela, promuove. Proprio questo filone “educativo” è una delle novità principali che si è trovato di fronte chi era stato ospite delle precedenti edizioni, ma non è certo l’unica. Tra le più interessanti si segnalano i Mercati della Terra, una rete di mercati locali che promuove e distribuisce i prodotti delle zone d’appartenenza; le Cucine di Strada, bancarelle di specialità “da passeggio” come il kebab, la focaccia di Recco, la trippa fiorentina e l’eccezionale bombetta pugliese; la Piazza della Birra, in cui sono rappresentate le birrerie artigianali italiane e straniere; e Pensa che Mensa, un’area di sperimentazione con l’obiettivo di assicurare la qualità anche nella distribuzione dei pasti quotidiani in aziende, scuole e luoghi di lavoro.
La prima sensazione resta comunque, per il visitatore appena giunto a Torino, quella di un bambino fortunato la mattina di Natale. Troppi i “doni” da scartare, troppe le degustazioni guidate da non perdere, troppi i motivi di interesse, troppe le iniziative collaterali: dai Master of Food alla Banca del Vino, dagli Incontri con l’autore agli appuntamenti per le scuole (“Orto in condotta”). Una strada dispersiva, ma ammaliante, è quella di lasciarsi rapire da profumi e sapori, navigando liberamente prima nel Mercato, in cui trovano posto piccoli e grandi produttori da tutta Italia e dall’estero, e poi nella zona dei Presìdi Slow Food, in cui sono rappresentati i prodotti che per qualità e caratteristiche di lavorazione sono contrassegnati da un neonato marchio di garanzia. Più di 300 quest’anno i Presìdi, con un’ampia rappresentanza dall’estero: 3 asiatici, 10 africani e 29 dall’America Latina.
Le storie da raccontare sono infinite, gli aromi da apprezzare pure: l’eccezionale sedano nero di Trevi e la vastedda della valle del Belice (unico formaggio di pecora a pasta filata), il pollo olandese di Chaam e il “salampatata” di Caluso, la salsiccia di Bra e la malvasia di Bosa, la senape tedesca e gli oli di Molfetta, il formaggio nel sacco e la Tsamarella di Cipro, il piacentinu di Enna (tipico formaggio siciliano con zafferano e pepe) e le mandorle dell’Uzbekistan, la gallina dalle uova azzurre e il liquore di fichi d’india, in un’overdose di gusto e di qualità.

E’ una domanda a cui si dovrà trovare una risposta in breve tempo, se è vero che, come nelle parole di Jean Anthelme Brillat-Savarin, “il destino delle nazioni dipende dal modo in cui si nutrono”.
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