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Foto da Tuttofood 2013

Una fiera dell'alimentazione tutta mirata al business, ma con qualche piacevole sorpresa: ecco le curiosità dell'edizione 2013 di Tuttofood, tenutasi a Milano dal 19 al 22 maggio.


La mappa della fiera


Un testimonial d'eccezione: Andrea Lucchetta!


I Simpson e le uova in scatola: rivoluzione o raccapriccio?



Lo scenografico stand dei prosciutti DOK Dall'Ava


Il Navigatore Capo con un marchio storico per gli amanti della birra
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Foto dal Vinitaly 2013

All'edizione 2013 del Vinitaly pochi fronzoli e tanta sostanza, ma le occasioni per qualche scatto curioso non sono comunque mancate: ecco le foto più interessanti. Leggete il nostro reportage per saperne di più!


Un benvenuto a tutti i visitatori


Si discute davanti a un bicchiere (o più)


Uno stand piuttosto inquietante


Traffico in Umbria...


Il Navigatore Capo ritrova la sua patria


Alle porte dell'Abruzzo


Un grappolo che fa riflettere


Espositori minimalisti


Bacco ha di che festeggiare, anche in versione "street"


Un brindisi ai vini emiliani!


E alla fine c'è chi paga le conseguenze...

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Non c'è peggior sobrio di chi non vuol bere

Sobrietà e vino sono due concetti che in apparenza non sembrano andare troppo d’accordo. Eppure è proprio "sobrio" il termine che più spesso ci torna alla mente nel corso della ricerca di un’impossibile sintesi dell’edizione 2013 del Vinitaly, tenutasi a Verona dal 7 al 10 aprile scorsi. E per certi versi si tratta di una sorpresa, considerando i proclami della vigilia e gli ospiti VIP annunciati in pompa magna (ehm) come Rocco Siffredi, ma anche Matteo Renzi o Mario Balotelli; invece, a dispetto delle premesse, il Vinitaly ha lasciato da parte lustrini e paillettes per abbracciare una filosofia decisamente pragmatica e concreta. Gli affari sono affari, diceva qualcuno, e la kermesse veronese sembra aver ormai svoltato, non più solo a parole, nella direzione di una manifestazione scopertamente B2B, lasciandosi alle spalle l’anima consumer (tanto per usare alcune orribili definizioni markettare). Lo ha fatto da un lato attraverso la radicale modifica al calendario, spostato fin dallo scorso anno in periodo infrasettimanale, e dall’altro assumendo una fisionomia sempre più mirata alla conquista dei clienti stranieri, principale e forse unica valvola di sfogo per un mercato che nel nostro paese sta diventando sempre più asfittico.

Non perderemo tempo a tediarvi per l’ennesima volta con la tiritera del troppo vino a disposizione e del poco tempo per farsi un’idea di massima del panorama enologico, soprattutto se si ha un solo giorno da dedicare alla fiera. I numeri però restano davvero impressionanti: 4.200 espositori, in crescita del 6% rispetto allo scorso anno, e oltre 148.000 visitatori. Soprattutto, aumentano a vista d’occhio le presenze estere: 53.000 le visite da ben 120 diversi paesi (con una crescita del 10% rispetto al 2012), 2.643 giornalisti di 47 nazionalità diverse. Un boom che non è soltanto quantitativo: gli stessi espositori sottolineano che anche i consumatori maggiormente inesperti, come russi e cinesi, non si accontentano più del “vino per il vino” ma sono ben disposti ad apprezzare le differenze relative al vitigno, all’invecchiamento, al territorio d’origine. Cosa che, paradossalmente, non sanno più fare gli italiani: la domanda interna è da anni in calo inesorabile, e così pure l’abitudine al consumo. Basteranno a rilanciarle iniziative come il Vinitaly Wine Club, innovativa piattaforma di e-commerce inaugurata proprio in coincidenza con la fiera, oppure l’annunciato accordo tra cantine e grande distribuzione, che per ora sembra limitarsi alla crescente diffusione di vini a marca commerciale, da Coop a Carrefour?

Una cosa è certa: l’aspetto meno rutilante e circense del Vinitaly, se pure è realtà e non semplice impressione, non si può certo attribuire all’onnipresente crisi. Anzi, varcando le porte di Veronafiere sembra per certi versi di entrare in una macchina del tempo, tornando indietro fino agli anni in cui il commercio non significava per forza “lacrime e sangue”: il settore del vino è uno fra i pochi in Italia, se non l’unico, che riesce a mantenersi ancora in crescita e il clima che si respira in fiera ne è diretta conseguenza. Forse dipende anche dall’organizzazione decisamente più funzionale: superate le difficoltà di connessione, wireless e telefonica, dello scorso anno, migliorata anche la gestione dei parcheggi e del traffico.
Le tendenze enologiche vere e proprie sono, come sempre, più difficili da individuare: spicca lo spazio sempre maggiore riservato ai prodotti “derivati”, dal gelato al Recioto ai cioccolati aromatizzati, dai “vini medioevali” (vedi sotto per l’eccezionale Polvere di Ippocrasso) ai distillati di ogni ordine e gradazione. Tra una scultura di tappi di sughero e un mega-grappolo in vetro, spiace non aver visitato lo stand di Coldiretti, in cui venivano presentate le peggiori nefandezze vinicole d’Europa… Una pecca, per chiudere, la dobbiamo trovare, e riguarda il cibo: scomparsi gli stand esterni di qualità delle scorse edizioni, per alimentarsi restano solo ristoranti a tema (costosi economicamente, ma soprattutto in termini di tempo!) o in alternativa gli squallidi simil-autogrill interni. Troppo poco per una fiera che dovrebbe saper abbinare il buon vino a un’adeguata offerta gastronomica.

Chiudiamo con la nostra solita opinabilissima mini-rassegna degli stand, ma prima lasciamo la parola a chi ne sa di più: ecco i link agli interessanti post del Gambero Rosso, di Aristide e del Cucchiaio d’Argento. E c’è anche chi ha espresso i nostri stessi concetti in modo appena più esplicito

Ca' Lojera - Sirmione (BS): Una delle più belle sorprese della rassegna questa azienda a conduzione familiare sul lago di Garda, con le sue eccellenti varietà di Lugana: dalla fruttata versione base all'elegante Lugana Superiore, fino allo straordinario Lugana del Lupo, vinificato tutto in acciaio e ricchissimo di profumi e suggestioni. A completare il quadro anche la linea Monte della Guardia con Merlot e un ottimo Cabernet rosato, e il Brut millesimato Tur Branc. Di gran classe il design delle etichette.

Mesa - Sant'Anna Arresi (CI): Il sogno del pubblicitario Gavino Sanna si è realizzato con questa cantina nel sud-ovest della Sardegna, ma anche prima di sapere chi c'era dietro sono stati in tanti a innamorarsi del design essenziale e affascinante delle sue bottiglie, oltre che del loro contenuto. Al punto che il Buio e il Buio Buio, Carignano del Sulcis in purezza con diversi invecchiamenti, in meno di un decennio sono diventati forse i rossi più richiesti dell'isola.Tra i tanti altri esperimenti da provare il Malombra, riuscito blend di Syrah e Carignano, e i Vermentini Giunco e Opale.

Franz Haas - Montagna (BZ): Sarebbe da ammirare anche solo per le magnifiche etichette disegnate dall'artista Riccardo Schweizer. Ma poi c'è anche il vino, e che vino: protagonista assoluto il Pinot Nero, il "bianco tra i rossi", anche in versione Rosé. Assolutamente da provare anche il Manna, che non ha nulla a che vedere con il favoloso cibo divino ma prende nome dalla moglie di Franz: un geniale blend di Riesling, Chardonnay, Sauvignon e Traminer che abbina l'aroma pungente di quest'ultimo a struttura e personalità. Per restare in famiglia ci sono anche i rossi Sofì, dedicati alla figlia del proprietario. E poi ancora Pinot Bianco, Pinot Grigio, Moscato, Sauvignon...

Agriturismo Parcoverde - Grumento Nova (PZ): Vista la location nel cuore della Val d'Agri avrà senza dubbio i suoi meriti paesaggistici e gastronomici, ma a noi interessa soprattutto la fenomenale Polvere d'Ippocrasso, un "vino medioevale" preparato seguendo un'antichissima ricetta che la leggenda dice risalire a Ippocrate. Il vino è un Bordolese aromatizzato con miele, cannella, galanga secca, zenzero e pepe nero: delizioso da solo, celestiale in abbinamento con il cioccolato. Viene utilizzato anche come ingrediente per dolci di pregio.

Terre de' Trinci - Foligno (PG): Avete presente il Montefalco Sagrantino? Se non è così, venite a scoprirlo da queste parti, in casa di una delle cantine che lo ha lanciato nella sua versione oggi più diffusa. L'Ugolino è una vera bomba di acidità e personalità, un vino che non passa inosservato. Ma il Sagrantino, fino agli anni Sessanta, era soprattutto Passito: da apprezzare anche oggi per il suo carattere poco dolce e molto aromatico. Infine da provare il Cajo, più morbido e accomodante, blend di Sagrantino, Merlot e Cabernet.

Vallerosa Bonci - Cupramontana (AN): Avevamo già parlato in passato di quello che resta probabilmente uno dei migliori Verdicchio dei Castelli di Jesi sul mercato. Le diverse etichette prendono nome dalle contrade d'origine: ottimi sia il San Michele, sia il Le Case. Il Manciano è il più fresco e aromatico, la riserva Pietrone il più strutturato. Da non perdere anche l'ottimo passito Rajano, affinato in barrique dai 4 ai 5 mesi.

Tenuta Vitanza - Montalcino (SI): Una delle cantine depositarie dell'antichissima cultura del Brunello di Montalcino. La versione "Tradizione" è la più Classica, poi c'è la Riserva invecchiata per 2 anni in tonneau e per altrettanti in botte di rovere: se ne producono 5000 bottiglie all'anno, vale la pena di aggiudicarsene una. Tra gli altri prodotti Rosso di Montalcino e Chianti, ma anche il Supertuscan Quadrimendo (blend di Merlot e Sangiovese) e la Grappa di Brunello.

Cantina Sociale Cesanese del Piglio - Piglio (FR): Il modo migliore per scoprire il dolce e aromatico Cesanese, giovane DOC alla conquista di nuovi adepti, è cominciare da questa cantina sociale che propone tra l'altro l'Etichetta Rossa di base e l'eccellente Etichetta Oro affinato per 20 mesi in botti di rovere. Tra gli altri prodotti, Passerina Etichetta Oro ed Etichetta Verde, anche in versione spumante.

Sara & Sara - Savorgnano del Colle (UD): Questa azienda dei Colli Orientali del Friuli ha la particolarità di incentrare gran parte della propria produzione su uve appassite in graticci, o surmature: con questa tecnica vengono prodotti non solo i passiti come Verduzzo e Il Gamè, ma anche il bianco Friulano e i rossi Merlot e Refosco. Altri vini, come Il Picolit e il rosso Il Rio Falcone, derivano invece dal procedimento di non filtrazione dei vini. Ma anche il più classico Pinot Nero regala forza ed eleganza.

Alliata - Trapani: Il vino fa buon sangue e buon sangue non mente. Giuseppe Alliata Moncada imbottigliò nel 1824 il primo "Duca di Salaparuta", entrando nella storia dell'enologia nazionale; la sua pronipote Claudia Alliata di Villafranca segue le sue orme nelle tenute che circondano Trapani. Qui crescono vitigni indigeni come il Grillo, alla base del Taya, e l'Insolia, che insieme allo Chardonnay compone il Mommo. Ma il meglio lo danno i rossi, dedicati ai tre Re Magi: il Syrah Melkiòr, il Nero d'Avola Kaspàr e soprattutto il profumatissimo e tannico Merlot Baltasàr, tutti affinati in barrique.

Cantine Catena - Montefalcione (AV): Quando si dice il marketing: avere un cognome "parlante" può essere un buon pretesto anche per inventare una linea di vini. Come il rosso Intrecci, un Aglianico invecchiato per 18 mesi in barrique; il Greco di Tufo Trame, fresco e fruttato; ma soprattutto l'eccellente Fiano di Avellino Legàmi, tanto aromatico quanto strutturato. Bottiglie esposte, tanto per non uscire di metafora, su un portabottiglia a forma di... catena, appunto.

Val d'Oca - San Giovanni in Valdobbiadene (TV): Gigantesca cantina costituita nel 1952 che raccoglie oltre 568 produttori per più di 700 ettari di terreno. Anche la produzione vinicola è sterminata, dal Brut Val d'Oca (Gran Medglia d'oro al Vinitaly) all'Extra Dry Millesimato Val d'Oca (Etichetta d'Oro per il packaging). Il Prosecco naturalmente domina, ma ci sono anche Moscato, Marzemino, Marca Trevigiana e una serie di distillati.

Cantina Gonzaga - Gonzaga (MN): Una cantina "frizzante" nel carattere e nella produzione, che con una aggressiva strategia di marketing prova a rinnovare la tradizione mantovana. Il prodotto di punta è sempre il Manté Rosso, tipico Lambrusco mantovano, ma ci sono anche il Manté Rosé, il Manté Extra Dry (spumante da uve Lambrusco e Chardonnay) e il Goccia d'oro, una Malvasia dolce da mosto parzialmente fermentato.

La Battagliola - Castelfranco Emilia (MO): Solo ed esclusivamente Lambrusco Grasparossa in quasi 50mila bottiglie all'anno per una giovane cantina nata nel 1999, ben identificata dal motto "Saliens e Titillans": i risultati sono incoraggianti.

La Smilla - Bosio (AL): Il senso di Smilla non è per la neve, ma per... il Gavi: questa cantina minimale come le sue bottiglie si dedica principalmente al bianco alessandrino per eccellenza, in diverse varietà tra cui spicca il Bergi, prodotto nell'omonimo podere. L'unico tocco di eccentricità è il Calicanto, un'originale blend con base Barbera affinato per un anno in rovere.

Sobrietà e vino sono due concetti che in apparenza non sembrano andare troppo d’accordo. Eppure è proprio questo il termine che più spesso ci torna alla mente nel corso della ricerca di un’impossibile sintesi dell’edizione 2013 del Vinitaly, tenutasi a Verona dal 7 al 10 aprile scorsi. E per certi versi si tratta di una sorpresa, considerando i proclami della vigilia e gli ospiti VIP annunciati in pompa magna (ehm) come Rocco Siffredi, ma anche Matteo Renzi o Mario Balotelli; invece, a dispetto delle premesse, il Vinitaly ha lasciato da parte lustrini e paillettes per abbracciare una filosofia decisamente pragmatica e concreta. Gli affari sono affari, diceva qualcuno, e la kermesse veronese sembra aver ormai svoltato, non più solo a parole, nella direzione di una manifestazione scopertamente B2B, lasciandosi alle spalle l’anima consumer (tanto per usare alcune orribili definizioni markettare). Lo ha fatto da un lato attraverso la radicale modifica al calendario, spostato fin dallo scorso anno in periodo infrasettimanale, e dall’altro assumendo una fisionomia sempre più mirata alla conquista dei clienti stranieri, principale e forse unica valvola di sfogo per un mercato che nel nostro paese sta diventando sempre più asfittico.

Non perderemo tempo a tediarvi per l’ennesima volta con la tiritera del troppo vino a disposizione e del poco tempo per farsi un’idea di massima del panorama enologico, soprattutto se si ha un solo giorno da dedicare alla fiera. I numeri però restano davvero impressionanti: 4.200 espositori, in crescita del 6% rispetto allo scorso anno, e oltre 148.000 visitatori. Soprattutto, aumentano a vista d’occhio le presenze estere: 53.000 le visite da ben 120 diversi paesi (con una crescita del 10% rispetto al 2012), 2.643 giornalisti di 47 nazionalità diverse. Un boom che non è soltanto quantitativo: gli stessi espositori sottolineano che anche i consumatori maggiormente inesperti, come russi e cinesi, non si accontentano più del “vino per il vino” ma sono ben disposti ad apprezzare le differenze relative al vitigno, all’invecchiamento, al territorio d’origine. Cosa che, paradossalmente, non sanno più fare gli italiani: la domanda interna è da anni in calo inesorabile, e così pure l’abitudine al consumo. Basteranno a rilanciarle iniziative come il Vinitaly Wine Club, innovativa piattaforma di e-commerce inaugurata proprio in coincidenza con la fiera, oppure l’annunciato accordo tra cantine e grande distribuzione, che per ora sembra limitarsi alla crescente diffusione di vini a marca commerciale, da Coop a Carrefour?

Una cosa è certa: l’aspetto meno rutilante e circense del Vinitaly, se pure è realtà e non semplice impressione, non si può certo attribuire all’onnipresente crisi. Anzi, varcando le porte di Veronafiere sembra per certi versi di entrare in una macchina del tempo, tornando indietro fino agli anni in cui il commercio non significava per forza “lacrime e sangue”: il settore del vino è uno fra i pochi in Italia, se non l’unico, che riesce a mantenersi ancora in crescita e il clima che si respira in fiera ne è diretta conseguenza. Forse dipende anche dall’organizzazione decisamente più funzionale: superate le difficoltà di connessione, wireless e telefonica, dello scorso anno, migliorata anche la gestione dei parcheggi e del traffico.
Le tendenze enologiche vere e proprie sono, come sempre, più difficili da individuare: spicca lo spazio sempre maggiore riservato ai prodotti “derivati”, dal gelato al Recioto ai cioccolati aromatizzati, dai “vini medioevali” (vedi sotto per l’eccezionale Polvere di Ippocrasso) ai distillati di ogni ordine e gradazione. Tra una scultura di tappi di sughero e un mega-grappolo in vetro, spiace non aver visitato lo stand di Coldiretti, in cui venivano presentate le peggiori nefandezze vinicole d’Europa… Una pecca, per chiudere, la dobbiamo trovare, e riguarda il cibo: scomparsi gli stand esterni di qualità delle scorse edizioni, per alimentarsi restano solo ristoranti a tema (costosi economicamente, ma soprattutto in termini di tempo!) o in alternativa gli squallidi simil-autogrill interni. Troppo poco per una fiera che dovrebbe saper abbinare il buon vino a un’adeguata offerta gastronomica.

Chiudiamo con la nostra solita opinabilissima mini-rassegna degli stand, ma prima lasciamo la parola a chi ne sa di più: ecco i link agli interessanti post del Gambero Rosso (http://www.gamberorosso.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=336145:-vinitaly-report-non-solo-vino-di-rocco-siffredi-numeri-tendenze-vini-degustazioni-e-vignaioli-facciamo-il-punto&lang=it&Itemid=1), di Aristide (http://www.aristide.biz/2013/04/il-vinitaly-globale.html) e del Cucchiaio d’Argento (http://www.cucchiaio.it/attualita/il-sabato-del-villaggio-anche-nel-2013-il-vinitaly-accadde/). E c’è anche chi ha espresso i nostri stessi concetti in modo appena più esplicito…. (http://www.cibvs.com/post/28/291540/esclusivo-meno-gnocca-al-vinitaly-2013)

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A cena sul social divano

Tempi moderni, tempi in cui tutto è social, almeno in riferimento all’universo dei mezzi di comunicazione (visto che, a quanto sembra, l’uomo lo è sempre stato). In questo senso ci avevano visto davvero lungo i creatori della Social Media Week, nata cinque anni fa, quando dalle nostre parti quasi neppure si sapeva di che si parlasse, e oggi esportata in 26 città del mondo tra cui Milano.
Per inaugurare l’edizione meneghina del 2013, che ha preso il via lunedì 18 febbraio, si è scelto proprio il tema del cibo: non certo un caso, visto che tra recensioni di ristoranti, foto di piatti, blog di ricette e commenti ai cooking show più in voga, il “social food” è stato forse la tendenza più evidente degli ultimi mesi in rete. Allo Urban Center, in Galleria Vittorio Emanuele, un parterre fin troppo ricco (nove relatori in un’ora!) ne ha sviscerato le principali articolazioni.

Il critico Davide Oltolini, volto noto della televisione, ammette di essere un neofita di Twitter ma ne trova subito la definizione più azzeccata: “la cosa intrippante è che è come un grande divano collettivo su cui tutti si siedono a commentare. Per chi lavora in tv è molto utile, garantisce un feedback immediato, anche se funziona solo con certe fasce d’età”. Sempre su Twitter, ma dal lato utente, si concentra Elisa Pella, dell’ufficio stampa di Identità Golose: “I cuochi lo usano poco e male, perché richiede troppo tempo rispetto ai loro ritmi. Piace di più Facebook, ma il social degli chef per eccellenza è Instagram, grazie all’immediatezza delle foto. Nell’uso del web il cuoco è come un qualunque foodie: mostrano la loro spesa e gli ingredienti acquistati, si contattano tra loro, soprattutto amano fotografare e commentare i ristoranti dei colleghi”. Gabriele Zanatta, ancora di Identità Golose, aggiunge che i social network “influiscono anche sull’agire dei cuochi: intanto forniscono ispirazione su piatti e ricette, anche se al tempo stesso rendono più difficile copiare. E poi, visto che trasmettono le immagini ma non i sapori, tendono a incentivare i piatti belli rispetto a quelli buoni. Ultimamente, però, c’è chi si ribella a questo trend”. I numeri, comunque, certificano ciò che tutti già sanno: “Dai social ci arriva solo il 15% dei visitatori, la potenza della televisione non ce l’ha nessuno”.

Televisione vuol dire anche Master Chef, la trasmissione del momento: “Ormai ci sono molte centinaia di commenti a puntata – sottolinea Sara Porro, di Dissapore – e la produzione, a differenza della prima edizione, è intervenuta per agevolare l’interazione, ma anche per vincolare i concorrenti con precise regole. Twitter mi piace perché si creano dei veri e propri gruppi d’ascolto come negli anni Cinquanta con la TV. Le relazioni virtuali non sono in contrasto con quelle reali: entrambe danno profondità all’esistenza”. E i blogger come vivono l’apporto dei social network? C’è chi, come Lisa Casali (Ecocucina), si limita a sfruttarli per raccogliere idee e consigli dei lettori e chi, magari suo malgrado, ne ha fatto un’arma vincente. Questo è il caso di Sonia Peronaci di Giallo Zafferano, uno dei siti “personali” più visitati in Italia: “Il boom c’è stato quando ho messo il mio nome e la faccia sul sito, facendolo diventare davvero social. Anche il contatto con la televisione l’ho avuto grazie a Facebook”. Blogger decisamente atipico è Claudio Sacco, il Viaggiatore Gourmet che ha creato Altissimo Ceto: “Sono stato forse il primo a fotografare i piatti, oggi lo fa chiunque e anche con altissima qualità. Non sempre gli chef apprezzano: c’è chi crede che i social rovinino la sorpresa, e del resto nel mondo della ristorazione c’è spesso poca trasparenza, anche sui prezzi. Io credo che Internet obblighi i cuochi a giocare a carte scoperte: dalle foto si capiscono tante cose del ristorante, ben al di là della descirizione, e l’aspetto social rende la condivisione immediata e democratica. A chi legge interessa vedere una foto vera, prima ancora che bella”.
Si chiude così con il campo minato delle recensioni via web: “Non è facile spiegare ai titolari dei locali che la recensione non è sempre una minaccia” ammette sconsolata Claudia Resta di Yelp. Possiamo decisamente capirla…

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Snow Food

Se per entrare nelle sale bisogna fare a spallate anche mentre fuori infuria la tempesta di neve (o l’allarme per la presunta tempesta, che poi è lo stesso), si può dire che il tuo evento è riuscito. Si può commentare con questa semplice massima l’andamento dell’edizione 2013 di Identità Golose, o per meglio dire Identità Milano, il congresso internazionale di cucina creato da Paolo Marchi, oppure si possono sciorinare i freddi numeri (ghiacciati, in questo caso): 30% in più di visitatori, 1350 tra giornalisti e fotografi per 375 articoli nei primi 10 giorni di febbraio. Basta questo? Per fare la felicità degli organizzatori forse sì, ma bisogna pure aggiungere che quella appena conclusa è stata un’edizione di Identità Golose diversa dalle altre, come già faceva intendere il tema scelto: quello del rispetto. Rispetto per se stessi, per la cucina e per i cuochi, ma anche per la natura, per gli ingredienti e per il cliente, portafoglio compreso. Non sono stati soltanto gli interventi dei quasi 80 chef e pizzaioli presenti a ribadire questo concetto, nelle sue varie declinazioni; la manifestazione stessa ha cambiato faccia, assecondando un gusto non certo pauperistico – parliamo pur sempre di ristoranti di fascia alta o altissima – ma certo più maturo e consapevole del momento storico che stiamo vivendo. Insomma, meno sfarzo, meno show e più concretezza, senza rinunciare all’intrattenimento che resta il sale della manifestazione. Eloquente il gesto del superVIP Carlo Cracco, che annuncia l’intenzione di aprire un ristorante low cost entro il 2014; ma pure Davide Scabin con il suo menu “per tutte le tasche”, o Massimo Bottura che si propone come interprete principe della cucina post-crisi, rappresentano efficacemente la tendenza in corso.

Il risultato finale è un evento, a nostro avviso, decisamente migliorato, più snello nella gestione del programma e più curato nelle aree espositive. Lo stesso non si può dire per il “cuginetto” Milano Food&Wine Festival, onestamente un po’ sacrificato rispetto alla manifestazione principale, anche se salvato dai quotidiani e interessanti show cooking dei cuochi presenti. La presenza dei grandi sponsor, da San Pellegrino in giù, è ben visibile e talora un po’ ingombrante: si sfiora la farsa quando qualche chef, subito rimbrottato, si lascia sfuggire la parola tabù “parmigiano reggiano” al posto di Grana Padano… D’altra parte, sono le aziende partner a permettere l’esistenza del congresso e alcune di loro, Birra Moretti, primeggiano nello sfornare eventi decisamente accattivanti: citiamo per tutti l’esibizione culinaria dello chef Claudio Sadler, che davanti a un pubblico incantato ha mostrato la preparazione delle sue “noci di capesante affumicate, marshmallow alla birra chiara, agro di senape e quinoa croccante”, un piatto delizioso per la vista (vedi foto) e per il gusto, naturalmente accompagnato da un bicchiere di Baffo d’Oro.

Tutto questo per quanto riguarda la forma, ma i contenuti? Be’, quelli accumulati da Massimo Bottura nel suo intervento basterebbero a scrivere un libro: magari un libro come “Vieni in Italia con me” di Umberto Notari, fondatore de “La Cucina Italiana”, a cui lo chef modenese si è ispirato per un nuovo menu della sua Osteria Francescana. “Chiediamoci quello che possiamo fare noi per il nostro paese – esordisce Bottura in spirito kennedyano – questo è il momento di guardarci in faccia e innamorarci di nuovo dell’Italia. Con il mio menu parto dalle materie prime di tutte le regioni per trasmettere quotidianamente un po’ di bellezza ai visitatori”. Quando parla di crisi, Bottura è un fiume in piena: “Rompere è un atto creativo, serve per trasformare e ricostruire. Il nostro paese è a pezzi, diviso, frammentato e violentato: noi rimettiamolo insieme, riscoprendo i pezzi e riordinando le idee”. I concetti chiave sono sei: rispetto, identità, responsabilità, saggezza e cultura, concretizzati in una serie di creazioni culinarie. C’è l’immaginifico cappuccino di cipolla e patata accompagnato dal cornetto di ciccioli frolli, ma anche il “Viaggio da Modena a Mirandola”, un piatto a base di cotechino, Lambrusco e sbrisolona: tutti ingredienti provenienti dalle zone colpite dal terremoto del 2012. “Un piatto che è un gesto sociale” spiega Bottura. C’è un’atmosfera poetica, invece, è alla base della “Millefoglie di foglie”, una ricostruzione visiva ma anche gustativa del paesaggio del bosco: “Il segreto della felicità è lasciare libera una parte di noi di vagare verso la poesia”. Da applausi “L’arca di Noè”, un brodo nato dalla carne dei più svariati animali – piccione, faraona, vitello, persino rane e anguille – con tortellini ripieni delle stesse materie prime; e infine c’è la “Lepre nel bosco”, una rivisitazione radicale del civet di lepre. “Se non si conosce la classicità – dice Bottura – non si può innovare. Prima di imparare le disidratazioni bisogna saper tirare la pasta con la cannella!”.  L’intervento, applauditissimo, si chiude con un richiamo ai concetti già espressi in fase di presentazione: accanto alla figura del cuoco va rivalutata quella del personale di sala, è necessario “rompere il confine tra sala e cucina” perché “solo con il gruppo ci si proietta nel futuro”.

Smaltita la sbornia botturiana si passa al resto, che non è meno meritevole di attenzione: a partire dai VIP come Cracco o Davide Oldani, che incentra il suo intervento sulla ricerca dell’equilibrio tra i contrasti, per arrivare all’emergente Pier Giorgio Parini dell’Osteria del Povero Diavolo di Torriana (Rimini). Uno che, tanto per esaltare il concetto di “rispetto per il piatto”, ti propone una pietanza incredibile a base di foglie di bietola invernale, miele ed estratto di alloro, e se la chiedi una seconda volta si rifiuta di servirtela: “deve lasciare l’impressione del primo assaggio”. Poi c’è il ciclo parallelo Identità di Pizza, in cui si esplorano tutte le possibili varianti di uno dei più tipici piatti italiani: come le invenzioni del romano Stefano Callegari, che dopo aver ideato il “trapizzino” e la pizza all’amatriciana ci riprova con la pizza “cacio e pepe” (nell’impasto c’è il ghiaccio!) e il “calzone ai tre modi”, piegato in tre per offrire altrettanti gusti diversi.
Strano ma vero, il ciclismo unisce le carriere di cuochi molto distanti tra loro. Da una parte c’è Christian Milone, ex professionista delle due ruote e oggi titolare della Gastronavicella di Pinerolo, che al Food&Wine Festival ha preparato la sua pancia di maiale alla birra, patate e cicoria di campo: non a caso è stato premiato come migliore chef “birrario” del 2012. Dall’altra Daniel Humm, irresistibile chef dell’Eleven Madison Park di New York, spiega che “la cucina è uno sport di resistenza come il ciclismo, solo che non ho ancora trovato il doping”. E poi confessa: “Negli USA è molto meglio essere svizzeri, sui cuochi francesi ci sono troppe aspettative!”. Il suo piatto più stupefacente è la tartare vegetariana, a base di carote rigorosamente newyorchesi; mentre l’asso nella manica di David Kinch, del californiano Manresa, è il pop corn di farro. “Rispetto per il prodotto – spiega Kinch – significa anche non buttare via niente: noi produciamo solo quello che ci serve per cucinare”.
Uno sguardo al futuro arriva con il ciclo di eventi organizzati per il 2013, anno della cultura italiana negli USA: più di 400 tra concerti, spettacoli ed esibizioni gastronomiche. L’onnipresente Bottura, insieme a quattro cantine italiane (Masi, Frescobaldi, Donnafugata e Berlucchi) parteciperà a tre eventi promozionali tra New York e Washington. E poi c’è l’Expo 2015: l’amministratore delegato Giuseppe Sala giura che “è un successo annunciato”. Vorremmo potergli credere.

Chiudiamo con un breve excursus sul Food&Wine Festival: tra i vini assaggiati meritano sicuramente una citazione quelli della cantina Secondo Marco, piccola azienda della Valpolicella che produce un ottimo Amarone ma anche un Recioto da non sottovalutare. Ottimo il Robbione della tenuta Colli di Serrapetrona, 100% di uve Vernaccia Nera così come lo spumante rosato Blink. Segnalazioni anche per il Merlot Quercegobbe della toscana Petra e per lo spettacolare passito L’Ecrù (blend di Zibibbo e Malvasia) della cantina Firriato di Trapani.

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