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Argentina para principiantes
Partiamo dalle basi: ci sono tre cose che dovete assolutamente sapere se avete intenzione di visitare l’Argentina nel prossimo futuro. Eccole:
1) L’Argentina non è un paese sudamericano. Può sembrare un paradosso, ma da Buenos Aires in giù troverete ben poco di quanto l’immaginario collettivo associa all’America Latina: scordatevi musiche dal ritmo trascinante, colori sgargianti, feste sfrenate e in generale tutto quanto è sopra le righe.
2) L’Argentina ha una moneta debole. Le vicissitudini finanziarie del paese di Cristina Kirchner (che non vediamo benissimo per le elezioni del 2015) sono ben note. Pur vivendo in un paese tendenzialmente benestante e niente affatto povero, gli argentini hanno grossi problemi di inflazione e di conseguenza tendono ad accettare volentieri monete forti come euro e dollaro, anche a tassi di cambio molto convenienti.
3) L’Argentina è un’Italia parallela. L’immigrazione italiana è stata talmente cospicua che quasi tutti coloro con cui parlerete vi diranno di avere un parente in Italia, o in mancanza di meglio fingeranno di averlo per impressionarvi (true story). Di tempo ne è passato parecchio, ma le somiglianze con il nostro paese restano enormi - e non tutte positive - a livello di usi, costumi e atteggiamenti.
Se abbiamo sottolineato questi tre punti è perché tutti, in qualche modo, hanno a che fare con il cibo, che è poi l’argomento che ci sta più a cuore. Innanzitutto, in barba alle migliaia di chilometri che ci separano, sulle tavole argentine non troverete nulla di particolarmente sconvolgente: i sapori e profumi esotici sono quasi inesistenti, frutta e verdura esattamente le stesse che siamo abituati a vedere da noi, anzi con minore varietà. I mercati alimentari di Cordoba o Mendoza, per quanto interessanti e folcloristici, sono di fatto indistinguibili dai loro omologhi europei: la massima “stranezza” è la carne di cincillà, un grosso roditore simile al coniglio. Per il resto vedrete capretti e maialini sgozzati, ma nulla che possa impressionare un italiano avvezzo al sanguinaccio (tra l’altro molto diffuso da queste parti) o alla trippa.
L’unico vero gusto inconsueto da provare è quello del mate, tipico infuso di foglie (la yerba mate appunto) consumato nell’omonimo recipiente e sorbito tramite la bombilla, una cannuccia bucherellata; più che una bevanda un vero e proprio rito, dato che in Argentina e – soprattutto – in Uruguay lo si beve in qualsiasi momento della giornata, rabboccandolo di volta in volta per mezzo di un thermos di acqua calda. Non lo troverete in vendita, se non in versione molto edulcorata: il mate si consuma da soli e si offre agli ospiti, ma vista la sua capillare diffusione è praticamente impossibile non riuscire a provarlo! Ci sarebbe poi un altro alimento caratteristico, il famigerato dulce de leche: una dolcissima crema di origine cilena a base di latte e zucchero, che gli argentini non si limitano a consumare da solo ma usano come ripieno di torte e altre preparazioni già di per sé dolcissime. Il risultato può essere stucchevole e nauseante per palati poco allenati, ma anche in questo caso sottrarsi è assai difficile: i tipici alfajores, dolcetti di cioccolato ripieni di dulce de leche, sono in agguato ovunque, compresi aerei e pullman di linea.
Per il resto le abitudini di consumo sono molto simili a quelle europee, tipologie di locali e tempistiche compresi: nelle località più turistiche e nelle grandi città si può ovviamente mangiare in qualsiasi momento della giornata, ma in generale i ristoranti tendono a osservare orari “normali” per pranzo e cena. Tuttavia gli argentini, sul modello spagnolo, tendono a spostare in avanti il pasto serale fino alle 21.30-22; di conseguenza i bar si riempiono ben oltre la mezzanotte e i locali notturni neppure si prendono la briga di aprire prima delle 2 (tenetelo presente se volete “fare serata”).
Su questo, come sull’alimentazione in generale, incide ovviamente il secondo punto: il primo consiglio che si può dare a un turista del vecchio continente è quello di munirsi di cospicue quantità di euro, così da poter usufruire di sconti rilevanti (evitando sia le frequenti disfunzioni degli sportelli automatici, sia le non trascurabili commissioni sui prelievi). Al cambio ufficiale, i prezzi non sono invece così dissimili dai nostri: a Buenos Aires per un pasto completo in un ristorante di medio livello si spendono sui 30-35 euro. In altre città i prezzi calano (Cordoba la più economica), ma è obiettivamente difficile restare sotto i 20.
E veniamo al terzo punto di cui sopra, il più delicato: le origini italiane più o meno recenti di gran parte della popolazione fanno sì che in Argentina abbondino, ancor più che nel resto del mondo, piatti e preparazioni che ricordano il Bel Paese. Ma non garantisce affatto che siano meno travisati che altrove. L’esempio più tipico è il caffè: pessimo quasi ovunque, anche quando si ha l’accortezza di chiederlo chiquito (equivale a una tazzina da espresso piena fino all’orlo). Innocua e tutto sommato piacevole è invece la milanesa, nient’altro che una fettina di vitello impanata: onnipresente come antipasto, piatto principale o ripieno di panini. Inutile dire che la pizza con muzzarella (già il nome fa rabbrividire) non ha nulla a che vedere con la nostra, così come il tiramisu; e con queste premesse non ce la siamo proprio sentita di ordinare pasta, che pure è diffusissima sotto forma di ñoquis (gnocchi) o tallarines oltre che reperibile in qualsiasi supermercato, anche se con nomi piuttosto diversi da quelli a cui siamo abituati (vedi foto).
Sì, ma allora… cosa si mangia in Argentina? La risposta non vi stupirà: carne, sempre e comunque. La carne è il ripieno delle celeberrime empanadas, l’antipasto per eccellenza; è l’immancabile condimento di ogni insalata; ed è, naturalmente, la protagonista assoluta della parrillada o parrilla (griglia), la parola che si sente ripetere più frequentemente nel paese, molto più di asado (che indica in generale il manzo alla brace). Nota bene: la doppia “l” si pronuncia alla sudamericana, quindi “parrisgia” e non “parriya” come in Spagna. Carne di manzo dunque, ma in tagli piuttosto diversi dalle nostre abitudini: le bistecche con l’osso qui non vanno di moda, si preferiscono il bife de chorizo (parte esterna della schiena, spessa e con una robusta copertura di grasso) o il pregiatissimo ojo de bife (la parte centrale dello stesso pezzo). O ancora il lomo (taglio sotto le costole), il vacìo (paragonabile al controfiletto), il peculiare e ottimo matambre (strato molto sottile che si trova tra la pelle e le costole). Il tutto accompagnato da morcillas (sorta di sanguinaccio), chorizos (salsicce) e interiora varie, soprattutto rognoni e intestini. Non aspettatevi carne al sangue, o almeno non fatene il vostro paradigma: nei ristoranti di Baires si può naturalmente selezionare la cottura preferita, ma nelle parrillas di campagna il manzo vi verrà generalmente servito stracotto, eppure ancora eccellente grazie all’ottima qualità dell’ingrediente di base. Indispensabile accompagnare il tutto con il chimichurri, semplice salsa a base di spezie, olio e limone.
Il manzo è il protagonista assoluto della tavola, ma non l’unico: al suo fianco compaiono talvolta degni comprimari come l’agnello (cordero), diffuso specialmente in Patagonia, il chivo (capretto), il pollo e più raramente il lechon (maialino). Zuppe di legumi, verdure e zucca sono diffuse specialmente nelle regioni più fredde; gli antipasti sono invece verdure in escabeche, cioè annegate nell’aceto, e l’immancabile salsina servita a inizio pasto, diversa per ogni ristorante, con accompagnamento di ottimo pane artigianale. I pesci oceanici sono tanti e quasi tutti poco saporiti, dall’abadejo al lenguado; in prossimità di laghi e fiumi si trovano facilmente anche trucha (trota) e salmone. Gli argentini amano molto anche rimpinzarsi di fiambres (affettati) come prosciutto crudo e cotto, mortadella o salame, quasi tutti però di qualità non eccelsa. I formaggi (quesos) sono quasi esclusivamente a pasta molle e semi-freschi, anche se non manca qualche simil-parmigiano. Infine due piatti locali da provare: in Uruguay e nelle zone di confine è diffuso il chivito, un abominevole miscuglio di carne, bacon, prosciutto, uovo al tegamino e patatine. A Cordoba si gusta invece il locro, zuppa di mais con carne (ovviamente) e abbondante salsa piccante.
Non si può chiudere senza parlare del bere: a parte il mate, di cui si è già detto, è indubbio che la bevanda nazionale argentina sia la birra. Sebbene siano presenti altre marche, come la Patagonia, e non poche birrerie artigianali, la Quilmes resta padrona assoluta del mercato e viene consumata senza risparmio anche grazie alle benemerite bottiglie da 1 litro, molto convenienti anche economicamente (al bar o al ristorante costano circa 4 euro l’una). Intanto aumentano vertiginosamente i consumi di vino e si capisce anche il perché: le cantine argentine, quasi tutte della zona di Mendoza, sfornano prodotti di sempre maggior valore , ormai in grado di competere con tutti i concorrenti internazionali. La selezione è facilitata dal fatto che i vitigni utilizzati sono quasi esclusivamente il Malbec, dal caratteristico gusto dolce e morbido, e il più aromatico Cabernet Sauvignon: le “bodegas” tra cui scegliere, più o meno pregiate, sono però innumerevoli. I costi sono accessibili ma non bassissimi, dai 10 fino ai 40-50 euro a bottiglia (sempre al cambio ufficiale). A fine pasto, se doveste trovarli, non lasciatevi sfuggire un sorso di uno dei leggeri liquori tipici, il delicato Legui o il più robusto Amargo Obrero.
Eppure la bevanda più amata e consumata in Argentina, quella che risponde invariabilmente alla domanda “cosa si beve stasera?”, non è nessuna di queste. Sembra incredibile, ma il re incontrastato dei banconi da bar in questo angolo di Sudamerica è… il Fernet Branca! Protagonista di faraoniche campagne pubblicitarie, oggetto di culto di giovani e vecchi e utilizzato persino come souvenir per turisti, l’amaro milanese – bevuto liscio, ma soprattutto con accompagnamento di Coca Cola – da queste parti ha conosciuto un successo assolutamente incomparabile con quello ottenuto in Europa, tanto da trasformarsi in una tradizione locale tra le più amate. Come dire che a volte emigrare non è poi così male…