Voci dal Salone: L'ultimo dei varesotti
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- Pubblicato Giovedì, 28 Ottobre 2010 10:30

E che potrebbe anche cambiare l’immagine e l’appeal della provincia, come spiega Satta partendo da lontano: “Oggi stiamo perdendo la coscienza del cibo e della sua qualità, soppiantata da interessi molto più effimeri. Il potere di spesa del singolo si sta spostando su altri bisogni e al cibo è rimasta quasi solo una funzione di nutrimento. Secondo me in questo stiamo facendo un gravissimo errore, perché in Italia abbiamo un patrimonio culturale del cibo che non è secondo a nessuno al mondo, neppure alla Francia. Bisogna riprendere la consapevolezza che mangiare bene non è solo una questione di salute, e già avrei detto tanto, ma anche di stile di vita, di benessere in senso lato. Se si capisse questo, credo che anche nei ristoranti di Varese vedremmo tranquillamente comparire o ricomparire i nostri prodotti, e questo sarebbe un bel volano dal punto di vista turistico ed economico. Un po’ come accade in molte altre regioni d’Italia dovremmo diffondere le nostre specialità in tutte le tipologie di locali, creando un interesse comune e stimolando l’orgoglio del territorio. Bisogna attirare il visitatore mostrandogli cosa siamo capaci di fare. È un tesoro che dobbiamo sfruttare”.
E il tesoro, per la sua parte, Aristeo lo ha fatto fruttare nel migliore dei modi, facendo man bassa di riconoscimenti: tre volte primo premio all’Expo dei Sapori, poi la vittoria al campionato del mondo di Cremona nel 2007, l’Eccellenza attribuita dall’ONAF al caprino nel 2008 (una delle 7 in tutta Italia) e infine, pochi giorni fa, il primo posto nel concorso della Franciacorta tra i migliori caprini d’Italia. Qual è il segreto di questo successo? “Il formaggio di capra – dice Paolo Satta – in questo momento, malgrado le sue radici antiche, è un prodotto molto moderno, grazie alle sue qualità nutrizionali e dietetiche: è un formaggio con pochi grassi, molto digeribile e che non crea quasi mai problemi di intolleranza. Ha ritrovato un grande mercato sia per questa ragione, sia perché è migliorato nella qualità: fino a qualche anno fa il formaggio di capra era fatto con poca cura, ora ci sono prodotti di livello elevato e quindi anche il buongustaio li riconosce come formaggio di punta”. Il problema, semmai, è la quantità: “Purtroppo in provincia di Varese non abbiamo abbastanza latte per realizzare la produzione che meriterebbero sia il territorio, sia le persone che desidererebbero questi formaggi. Questo limite ci costringe a perdere delle grandi occasioni”.
Ma come è arrivato Satta, di professione veterinario, all’avventura imprenditoriale? “Era una passione latente – racconta – che ha covato a lungo sotto la cenere prima di esplodere. È stato un salto denso di incognite e di incertezze, ma è andata bene. Ho scelto il formaggio di capra perché il territorio della provincia ha una lunga tradizione in questo tipo di prodotto, ma poi ci ho messo anche del mio, portando nel caseificio qualche elemento tecnologicamente avanzato; inoltre ho voluto confrontarmi con i francesi, che sono i maestri del formaggio, di capra in particolare. Da loro ho imparato tecniche più avanzate e anche una mentalità che in Italia non abbiamo: purtroppo i formaggi da noi patiscono molto l’ingombrante presenza del prodotto industriale, e il consumatore spesso confonde i formaggi standard e a basso costo con quelli artigianali, che inevitabilmente costano molto di più ma hanno picchi di qualità molto elevata, e anche una certa variabilità”.
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