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Pubblicato Venerdì, 22 Gennaio 2010 16:50

Quale fu l'ultimo, trasgressivo pasto del presidente francese
François Mitterand? Perché il
pomodoro e la
patata sono stati a lungo ritenuti, a turno, cibi diabolici? E qual è (o sarebbe meglio dire era) la
razza di cani più appetitosa? Possiamo soltanto immaginare - anche se per la verità traspare a più riprese dalle pagine del libro - quanto possa essersi divertito l'eclettico giornalista americano
Stewart Lee Allen a raccogliere e raccontare, con maliziosa verve, questi e altre decine di simili
aneddoti sul cibo che vanno dallo sfizioso al macabro. Ma "
Nel giardino del diavolo" (Feltrinelli, 296 pagine, 8,50 euro), malgrado la sua composizione frammentaria, è tutt'altro che un semplice
zibaldone di stranezze e bizzarrie da Settimana Enigmistica: il libro, nel suo insieme, racchiude una profonda riflessione sui
rapporti non certo idilliaci che l'uomo ha intrattenuto nel corso della storia con il suo nutrimento, facendosi influenzare di volta in volta da religioni, ideali, mode e umori del momento, e dunque trasformando l'alimentazione in
oggetto di proibizioni, incentivi, divieti e dogmi, quando non addirittura
causa di guerre e stermini. A dispetto del solito, ingannevole titolo italiano ("Storia lussuriosa dei cibi proibiti"), l'opera di Allen non si limita affatto al
rapporto tra cibo e lussuria, che pure è il vizio primigenio, causa del peccato originale - insieme alla gola - e base di tanti dei tabù legati all'alimentazione; anzi, basta sfogliare l'indice per rendersi conto che
ogni capitolo è dedicato a uno dei vizi capitali, dalla gola all'accidia passando per superbia, ira, avarizia e invidia, naturalmente considerati in rapporto alle abitudini nutrizionali dell'uomo. Viste le premesse, è evidente che
il punto di vista "cattolico" è quello privilegiato: è vero che, come ricorda lo stesso autore, la religione cristiana è fra le poche a non imporre divieti di carattere alimentare - e proprio questo è uno dei suoi aspetti rivoluzionari - ma è anche vero che in seguito, nel nome dei precetti della Chiesa, anche in questo campo
se ne sono fatte di cotte e di crude, se ci si è concesso il gioco di parole. Comunque, il Cristianesimo non è certo l'unico bersaglio delle critiche: induisti, ebrei, musulmani e buddhisti hanno a loro volta parecchio da farsi perdonare...
Trascinati dall'
estremo interesse delle tematiche trattate, si arriva in un attimo alla fine del libro, dove troviamo una
provvidenziale appendice che approfondisce, con opportuni riferimenti bibliografici, gli episodi citati nei vari capitoli. Se il saggio ha un difetto, infatti, è quello di essere
talvolta troppo superficiale, dando per scontate alcune nozioni e lasciando cadere sulla storia del mondo lo
sguardo sarcastico e disincantato tipico, in verità, di molta pubblicistica made in U.S.A. Superato questo aspetto stilistico, tuttavia, è impossibile sottovalutare il valore delle riflessioni contenute nell'opera, che spingono il lettore a riscoprire di volta in volta i legami del cibo con la
superbia (intesa come sopraffazione nei confronti di altre razze o popoli), con l'
avidità (abitudini alimentari imposte per sfruttare o depredare i più deboli, fino all'extrema ratio del cannibalismo), con l'
accidia (stimolata, secondo la tradizione, dai nutrimenti troppo ricchi o raffinati). E se è difficile non lasciarsi incantare dalle
leggende dei Masai, autoproclamatisi padroni di tutte le mucche del mondo, o reprimere un sorriso di fronte alla "
battaglia culinaria" tra mariti e amanti in Nuova Guinea, è altrettanto arduo non provare un brivido ripercorrendo la storia dell'
economia di Haiti devastata dallo sterminio dei maiali o della "guerra del pane" che fu tra le cause della Rivoluzione francese.
Una lettura a più livelli, dunque, che getta una luce importante sull'estremo valore attribuito al cibo in tutte le culture (antiche e moderne) ma che, al tempo stesso,
consente di svagarsi provando a riprodurre ricette "trasgressive" come l'oca alla Sade o lo stufato eretico di carni miste e ceci...