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Tutti i colori del vino

Lo dice la saggezza popolare sul vino di qualità: più invecchia, più diventa buono. Sarà vero anche per i il Vinitaly? Lo scorso 13 aprile a Verona si è conclusa la cinquantesima edizione della più celebre rassegna vinicola internazionale: non avendo partecipato per ragioni anagrafiche a nessuna delle prime 40, lanciarsi in un confronto generazionale sarebbe perlomeno presuntuoso. Basta però un viaggio nel passato molto più breve per notare qualche cambiamento macroscopico: chi si sarebbe mai aspettato, anche solo un decennio fa, che la rassegna veronese ospitasse nientemeno che un Presidente della Repubblica? Chi avrebbe mai pensato di veder comparire nei padiglioni della fiera gli stand dei viticoltori cinesi o azeri, o anche soltanto ipotizzato che persino la più sperduta cantina del Molise si sarebbe dotata di sito ufficiale, pagina Facebook, account Twitter e Instagram e QR Code? D’altro canto ci sono anche cose che sono rimaste esattamente identiche a se stesse, e non tutte piacevoli: per esempio il dramma della viabilità, con code chilometriche (purtroppo sperimentate personalmente) a tutti gli ingressi della città e bus navetta costretti a districarsi nel traffico selvaggio, nonostante i divieti.

Che cosa resta dunque del cinquantesimo Vinitaly? Non c’è dubbio che l’edizione 2016 sia stata contraddistinta nel bene e nel male del presidente del Consiglio, fischiato e contestato al suo ingresso ma anche protagonista di un intervento particolarmente incisivo: Matteo Renzi ha parlato di obiettivi ambiziosi (50 miliardi di export per il 2020, partendo dagli attuali 36,9) e del tema della valorizzazione del Made in Italy, carissimo alla sua amministrazione. Punti di vista in gran parte condivisibili, certo non facili da trasformare in azioni concrete: l’annuncio di una “giornata del vino” indetta per il 9 settembre dalla piattaforma di commercio elettronico Alibaba non è poi così entusiasmante. Lo sono sicuramente di più, dal punto di vista dell’organizzazione, i numeri di questo Vinitaly: i visitatori, per la prima volta da tempo immemorabile, sono in calo (130mila quelli dichiarati), ma questa non è certo una brutta notizia se si considera l’evidente volontà di restringere gli accessi, anche con una politica di prezzi molto più “aggressivi”. Il dato che davvero colpisce è quello dei 50mila operatori stranieri da 140 diverse nazioni, a cui si affiancano 4.100 espositori, 28mila buyer dai mercati internazionali (in aumento del 23% rispetto all’anno scorso), 29mila presenze agli eventi del “fuori salone” Vinitaly and the City, oltre 100mila mq di spazi espositivi, che fanno di quello veronese il primo evento al mondo per superficie occupata.

Per il visitatore, profano o addetto ai lavori, tutto questo implica nel complesso poche novità, e più che altro l’acutizzarsi di tendenze in atto. La fiera vira sempre più al business, con meno lustrini e paillettes e più concretezza; gli espositori appaiono più preparati e professionali, anche se (in alcuni casi) più freddi e meno empatici; si intensifica la presenza di consorzi e associazioni di settore, che sicuramente facilitano l’eno-curioso alla ricerca di nuovi sapori ma, d’altro canto, rischiano di limitare il contatto diretto con i viticoltori e con le loro storie. Per rivivere un po’ dello spirito del vecchio Vinitaly (quello di cinquant’anni fa?) bisogna visitare le aree dedicate a VinitalyBio e ViViT (Vigne, Vignaioli e Terroir): piccole, affollatissime, caotiche ma anche più “divertenti”, forse per la presenza di produttori molto numerosi, spesso in stand condivisi e con una forte vocazione all’assaggio.

Dal punto di vista strettamente vinicolo, per quel poco che possiamo giudicare, il mercato sembra in fase di assestamento dopo un periodo di grandi mutazioni: continuano comunque ad emergere nuove varietà finora poco conosciute, come il Magliocco calabrese, promosso dal consorzio Terre di Cosenza Dop che raggruppa una quarantina di aziende del territorio, o la nuova DOC Roma, istituita nel 2011. E rispetto al passato diventa molto più rilevante e strutturata la presenza di produttori stranieri, in particolare dalla Spagna ma anche da Georgia, Serbia, Portogallo, Australia e naturalmente Francia, Sud Africa e Argentina. Di cosa sia accaduto al settore vinicolo negli ultimi 50 anni si è parlato anche in un convegno dal titolo “Cantine e vigneti, consumi e mercati”, organizzato dall’Osservatorio del Vino. Una ricerca complessa e articolata (scaricabile qui) i cui risultati si possono riassumere, in estrema sintesi, nel passaggio del vino dal campo delle commodities – beni disponibili sul mercato in qualità standardizzata e senza distinzione di produttore, come la benzina o, in campo alimentare, il sale e lo zucchero -  a quello delle specialities. Poche parole per descrivere una trasformazione epocale…

Come ogni anno chiudiamo il nostro reportage con una (purtroppo) breve rassegna sulle cantine visitate al Vinitaly e sui loro prodotti principali, da prendere come sempre con beneficio d’inventario.

Inama – San Bonifacio (VR): Gli eredi di Giuseppe Inama, attivo dagli anni Sessanta sulle colline del Soave, hanno dato vita a una serie di vere e proprie perle vinicole: unici nel loro genere i rossi da vitigno Carmenere, come il Più e lo straordinario Oratorio di San Lorenzo, prodotto solo nelle migliori annate e affinato in barrique per 18 mesi. Di grande carattere il Bradisismo (Cabernet e Carmenere). Da non perdere anche i bianchi: il Soave Vigneti di Foscarino e l’intenso e profumato Vulcaia Fumé (Sauvignon in purezza).

Moretti Omero – Giano dell’Umbria (PG): Pioniera dell’agricoltura biologica fin dai primi anni Novanta, la famiglia Moretti produce anche olio extravergine e grappe. Il vino principe è ovviamente il Sagrantino, soprattutto nell’eccezionale varietà Vignalunga: prodotto solo nelle migliori annate, ha almeno 3 anni di affinamento e nonostante i 15 gradi è piacevole e non troppo “aggressivo” al palato.

Nunzio Ghiraldi – Lugana di Sirmione (BS): L’attività di questa azienda familiare è tutta concentrata nella produzione del meritatamente famoso Lugana Il Gruccione: fruttato ed elegante il Lugana DOC, eccezionalmente profumato e speziato il Lugana Superiore.

Papalino – Castiglione in Teverina (VT): Nel cuore della Tuscia viterbese un’azienda con oltre 50 anni di storia alle spalle, ma apertissima a innovazioni e sperimentazioni. Tra queste c’è l’ottimo Grechetto Ametis, decisamente più convincente nella versione dell’annata 2014, molto intensa e dal caratteristico colore giallo paglierino. Nessun dubbio invece sul Rosso del Lazio Senauro, maturo e profumato, affinato per 12 mesi in barrique.

I Custodi delle Vigne dell’Etna – Castiglione di Sicilia (CT): Sull’Etna la vite è coltivata da secoli, ma solo recentemente sono stati “riscoperti” gli ottimi vini locali. Esuberante il bianco Ante, blend di Carricante, Minnella e Garganico; unico nel suo genere il rosato Alnus, da uve Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio; straordinario l’Etna Rosso Aetneus, che nasce da vigneti di quasi 150 anni di età e viene invecchiato per oltre 2 anni in barrique usate.

Masseria Falvo 1727 – Saracena (CS): Ospitata come suggerisce il nome da un’antica masseria, questa cantina deve la sua fama al tradizionale Moscato di Saracena, ma si fa notare anche per il Don Rosario, un ottimo Magliocco invecchiato per 14 mesi.

Tenute del Garda – Lonato del Garda (BS): Un consorzio di recente fondazione, nato per valorizzare i vini della Valtenesi: particolare successo stanno ottenendo l’originale Brut da uve Riesling e il Brut Rosé, insieme al classico Chiaretto, fresco ed elegante.

Terra Fageto – Pedaso (FM): A pochi passi dall’Adriatico, 40 ettari di terreno per produrre i tipici vini marchigiani, come il profumato Pecorino Fenèsia. Tra i rossi ottimo il Serrone, blend di Cabernet Sauvignon e Merlot affinato per un anno in barrique.

Tinazzi – Lazise (VR): Doppia anima, veneta e pugliese, per questa grande azienda vinicola che negli anni ha acquisito terreni e vigneti anche in Salento, a Carosino e San Giorgio Jonico. Premiatissimi i suoi vini, dal Primitivo LXXIV del Feudo di Santa Croce alla robustissima e complessa Malvasia Nera Tiranno.

La Perla – Tresenda di Teglio (SO): Giovane cantina valtellinese che vanta una produzione ristretta ma di grande qualità: da uve Nebbiolo derivano il Valtellina Superiore La Mossa e l’eccellente Sforzato Quattro Soli, a cui si aggiunge l’originale Extra Brut da uve Pignola.

Cantina Colonnella – Colonnella (TE): Pochi fronzoli e tanta sostanza per questa cantina abruzzese che deve la sua fortuna allo straordinario Barocco, Montepulciano d’Abruzzo riserva invecchiato per oltre 3 anni, e all’intensissimo Controguerra Cinque Colli. Da segnalare anche le bollicine del fresco e originale Passerina Brut Le Rue.

Cundari – Figline Vigliaturo (CS): Di questa cantina cosentina ricordiamo qui soprattutto l’ottimo Don Filippo, un Donnici Rosso Doc (Magliocco e Greco Nero) affinato in barrique per 12 mesi, robusto e di notevole struttura.

Tenuta Celimarro – Castrovillari (CS): Una cantina giovanissima, operativa dal 2013, che ha dato vita a un Magliocco ancora giovane, ma intenso e brillante.

Gotto d’Oro – Marino (Roma): La creazione della nuova DOC Roma è stata un grande veicolo di promozione per questa cantina, che ha lanciato sia un interessante bianco, profumato e armonico, sia un rosso con buone potenzialità ma apparentemente ancora troppo giovane.

Bodegas Cialu – La Rioja (Spagna): Con 40 ettari di vigneto e circa 70mila bottiglie di produzione annua, questa cantina iberica si autodefinisce “piccola”… Sicuramente la sua produzione è più che selezionata: tre tipologie di vino Rioja, joven (giovane), Crianza (invecchiato per 14 mesi in barrique e un anno in bottiglia) e Reserva (36 mesi in barrique e un anno in bottiglia), quest’ultima decisamente notevole per profumi e struttura.

Aleksandrovic – Topola (Serbia): A un’ottantina di km da Belgrado sorge questa rinomata cantina di respiro internazionale: particolarmente noti nella sua produzione il rosé Varijanta, con un caratteristico aroma di fragoline selvatiche, e il rosso barricato Vizija, un blend di Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon.

World of Flavours – Ornago (MB): Abbiamo già citato più volte questo noto importatore specializzato in vini argentini. Tra i più interessanti segnaliamo naturalmente due Malbec: il classico Paz della Finca Las Moras, di San Juan, e quello più sofisticato della cantina Escorihuela Gascon di Mendoza, derivato da un blend delle uve di due diversi vigneti.

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