A uomo o a zona?
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- Pubblicato Giovedì, 27 Ottobre 2011 15:34

Il dibattito si accende sul consueto tema delle osterie come ultimi baluardi della tradizione culinaria (e non solo), ma fa presto a virare in altra direzione: “È vero – commenta Niola – in risposta ai cambiamenti vorticosi del mondo c’è una domanda sempre crescente di rilocalizzazione, di riscoperta delle origini. In cucina ci sono tradizioni che possono essere solo conservate da chi è cresciuto, vive e opera in un certo luogo: li definirei “sovraintendenti del cibo”. Però è anche vero che la tradizione si può mantenere solo facendola vivere e stare al passo con i tempi, cosa che in Italia purtroppo non sempre avviene: bisognerebbe valorizzare i grandi ristoranti e le cattedrali del cibo, invece si fa ancora fatica a considerare l’alimentazione come un patrimonio culturale, e si preferisce la natura morta a quella viva”. Ancora più incisivo l’intervento di Licia Granello: “Ogni tradizione, a suo tempo, è stata un’innovazione: non ha senso farsi la guerra, sono due facce della stessa medaglia. È ora di spostare questo asse altrove, per esempio sulle materie prime o sulla legalità: cominciamo a evidenziare chi utilizza prodotti biologici e chi paga regolarmente i lavoratori”. E poi le abitudini di consumo, altro punto dolente: “Serve una rivoluzione gastro-culturale, dobbiamo imparare a essere incontentabili per quanto riguarda la qualità degli ingredienti, e a scegliere il cibo invece di subirlo. Come clienti dobbiamo essere più curiosi, come ristoratori dobbiamo comunicare meglio i nostri piatti. Solo così cambieranno anche i livelli di produzione del cibo”.
Particolarmente significativa, in questo senso, la testimonianza di Michele Valotti: “Un piatto non si giudica solo dalla sua bontà, ma anche dalla sua storia. La chiarezza e la trasparenza del messaggio sono essenziali: per questo abbiamo scelto di indicare sul nostro menu i nomi di tutti i produttori da cui ci serviamo, con tanto di indirizzo e numero di telefono”. Non tutti a chilometro zero, però: “Ci sono dei coltivatori che fanno olio a pochi metri da casa mia, seguendo tutti i criteri dell’agricoltura biologica – confessa Valotti – ma poi il prodotto fa schifo e preferisco andarlo a comprare altrove…”. Si chiude con un’altra metafora, questa volta opera del professor Niola: “L’agitazione e i cambiamenti di questi tempi ci centrifugano ed eliminano il superfluo, mettendo in evidenza solo la parte essenziale”. E l’essenziale sono, naturalmente, le osterie e i cuochi, che “rivestono un ruolo sociale, culturale, economico e politico” come dice Burdese.
Al termine della conferenza, un buffet degno del parterre, con i migliori piatti delle osterie Slow Food lombarde: si segnalano, tra l’altro, la zuppa d’orzo con verza e patate di montagna dell’osteria Visconti di Ambivere, la frittata con saltarei della Locanda delle Grazie di Curtatone, i ciccioli e la sbrisolona della Trattoria dell’Alba di Piadena.
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