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Nella botte grande c'è il vino buono

Pubblicato Venerdì, 10 Aprile 2009 20:50
Alla fine, il vino trionfa sempre. La crisi incombente e un certo malumore serpeggiante nel settore dopo gli scandali (o presunti tali) dello scorso anno non hanno danneggiato, almeno in apparenza, il più grande appuntamento enologico al mondo: il Vinitaly 2009 si è chiuso tra i sorrisi, sia pure spenti nella giornata di chiusura dalle tragiche notizie provenienti dall’Abruzzo, e con un bilancio tutto sommato rassicurante (vedi anche questo interessante articolo in merito).
Alla vigilia di questa edizione si era parlato di controlli più rigidi per limitare l’ingresso agli addetti ai lavori ed evitare lo sbarco in massa di “turisti del vino” e molesti beoni; se il proposito degli organizzatori sia diventato realtà è difficile dirlo, fatto sta che il numero dei visitatori non ne ha risentito, superando secondo le prime stime i fatidici 150.000 fatti registrare nel 2008. Merito soprattutto degli stranieri, che sono accorsi in 45.000: quasi uno su tre. Numeri record anche per gli espositori, oltre 4.200 provenienti da 30 paesi, e per i giornalisti, più di 2.400.

Come tutte le grandi opere d’arte, anche il Vinitaly si presta a più livelli di lettura: dal semplice appassionato al rivenditore, dal viticultore al sommelier di professione, ognuno trova nella kermesse veronese spunti diversi e diverse sfaccettature. Il primo ostacolo da superare, però, è lo stesso per tutti: la consapevolezza che non soltanto nei 5 giorni di fiera, ma neppure nel corso di un’intera vita sarà possibile assaggiare i prodotti di tutte le cantine presenti! Quella che colpisce all’ingresso di Veronafiere è una sensazione di stordimento mista a parziale delusione: ci si rende conto da subito che bisognerà operare una selezione drastica, arbitraria e spesso affidata a fattori del tutto casuali. Persino l’iniziale proposito di degustare almeno un vino per ogni regione italiana è destinato a crollare: le regioni sono 20 e arrivare alla fine in una sola giornata è molto difficile, anche soltanto per motivi di tempo. C’è poi il discorso sobrietà: è noto che i veri esperti sputano il vino a fine degustazione per mantenersi lucidi, ma è altrettanto noto che noi non siamo veri esperti, e il sillogismo si completa facilmente…
La verità è questa: Vinitaly è un labirinto colmo di trabocchetti per il visitatore incauto, un po’ come ogni altra fiera, ma con l’aggravante dell’immensità (91.000 metri quadrati!). Chi si lascia attirare dalle sirene dei grandi marchi non ne coglie la vera essenza, chi va alla ricerca di sapori sconosciuti rischia di non gustare i prodotti di eccellenza. Il dispiacere di non poter dedicare a ciascuna realtà professionale il tempo che meriterebbe per apprezzare appieno il lavoro, la dedizione e le storie spesso singolari che stanno dietro a ogni singola etichetta, si mescola al gusto della curiosità e della scoperta, esercitato anche nelle tante degustazioni gratuite organizzate dai consorzi e dalle organizzazioni di settore. Comunque vada, insomma, si esce insoddisfatti ma felici.
Riepilogare qui il nostro accidentato e schizofrenico percorso tra i padiglioni sarebbe inutile, oltre che impossibile: ci limitiamo, come già lo scorso anno, a offrirvi un breve campionario dei vini che hanno solleticato maggiormente i nostri sensi… e vi invitiamo a fare altrettanto!

Braida – Rocchetta Tanaro (AT): Non ha bisogno di presentazioni una delle più note etichette piemontesi, fra le prime a rivalutare il Barbera. Resa famosa dal celeberrimo Bricco dell’Uccellone, oggi la cantina affianca ai vini storici anche novità molto interessanti come il Barbera Montebruna e il bianco Asso di Fiori, un Langhe Chardonnay affinato in botte e in bottiglia.

Cave du Vin Blanc – Morgex (AO): I vigneti più alti d’Europa, fino a 1200 metri, danno origine a sapori introvabili altrove. Ottimo il bianco Estremi, prodotto nelle stesse condizioni di vinificazione dell’Ottocento; ma davvero superlativo è il Chaudelune, forse il vino più originale provato in tutta la rassegna, un indescrivibile mix di aromi e note fruttate che lascia senza parole.

Vallerosa Bonci - Cupramontana (AN): Davvero uno dei migliori vini assaggiati il Verdicchio di questa azienda marchigiana. Nella vasta produzione spiccano il Pietrone, affinato in cemento e in bottiglia, e soprattutto il San Michele, premiato dalla guida Vini d’Italia con il prestigioso riconoscimento dei Tre Bicchieri.

Cantina Goretti – Perugia: Azienda molto nota in Umbria che produce almeno due vini di eccellente qualità, ma di caratteristiche molto diverse. L’Arringatore è un rosso di carattere robusto e inconfondibile da uve Sangiovese, Merlot e Ciliegiolo di Pila; Le Mura Saracene viene dal vitigno locale Sagrantino di Montefalco ed è decisamente più aromatico e complesso.

Ippolito 1845 – Cirò Marina (KR): Azienda ricchissima di storia (è la più antica dell’intera Calabria) che deve le sue fortune al vitigno locale: il Cirò Rosso Classico Superiore si fa apprezzare sia nella variante Liber Pater che nella riserva Colli del Mancuso, affinata 12 mesi in barrique.

Pileum – Piglio (FR): Pochi conoscono il Cesanese del Piglio, diventato DOCG soltanto nel 2008 (è la prima del Lazio); un vino che merita di essere scoperto per il suo gusto vellutato e la bassissima acidità. Anche questa azienda è giovanissima, ma produce già ottime etichette tra cui il Bolla di Urbano.

Al-Cantàra – Catania: Etichette di grande pregio artistico grazie alle opere di Alfredo Guglielmino di Cartura, nomi fitti di rimandi letterali, ma quello che c’è dentro la bottiglia non è da meno. Su tutti il bianco Luci Luci, dal vitigno Carricante, e il passito Lu Disìu.

Vini Mastrangelo – Vasto (CH): Da dieci e lode la Riserva del Vicario, un Montepulciano d’Abruzzo intenso e speziato; ma anche il più leggero Alma Dei non è da meno. Una menzione infine per il bianco Nuntius, un robusto Pecorino.

Pietrasanta – San Colombano al Lambro (MI): Uno dei principali produttori del San Colombano, unica DOCG della provincia di Milano, spesso considerato vino “da tavola” che rivela però insospettabili doti aromatiche se invecchiato. Lo dimostra ad esempio il San Colombano 2003 Riserva, affinato in barrique per 24 mesi.

Calafè – Pratola Serra (AV): Due vitigni per quattro etichette: il rosso Aglianico e il bianco Greco di Tufo. La riserva di quest’ultimo si chiama Ariavecchia e mette in evidenza il caratteristico aroma di mandorla.

Monte delle Vigne – Ozzano Taro (PR): Già il nome dice tutto: qui si produce vino da secoli. Non solo rosso (Barbera, Bonarda, Lambrusco) ma anche e soprattutto ottimi bianchi tra i quali spicca quello dedicato alla “Divina” Maria Callas, una Malvasia di Candia Aromatica.

Mazzone – Ruvo di Puglia (BA): Una Malvasia come l’Immensus non l’avevamo mai assaggiata: per nulla dolce, di sapore fresco e asciutto, quasi irriconoscibile. Buono anche il Nero di Troia.

Barone Montalto – Santa Ninfa (TP): L’azienda è giovane ma ha già un ricco campionario di vini; interessante il Cataratto Chardonnay.

Distilnatura – Somma Vesuviana (NA): Nulla a che fare col vino, in compenso quest’azienda produce un’incredibile quantità di liquori e distillati: dal pistacchio al lampone, dalle mandorle al basilico… Eccellente la Crema melone e ottimi anche i babà al rum offerti dalla casa!