Voci dal Salone: L'ultimo dei varesotti

E che potrebbe anche cambiare l’immagine e l’appeal della provincia, come spiega Satta partendo da lontano: “Oggi stiamo perdendo la coscienza del cibo e della sua qualità, soppiantata da interessi molto più effimeri. Il potere di spesa del singolo si sta spostando su altri bisogni e al cibo è rimasta quasi solo una funzione di nutrimento. Secondo me in questo stiamo facendo un gravissimo errore, perché in Italia abbiamo un patrimonio culturale del cibo che non è secondo a nessuno al mondo, neppure alla Francia. Bisogna riprendere la consapevolezza che mangiare bene non è solo una questione di salute, e già avrei detto tanto, ma anche di stile di vita, di benessere in senso lato. Se si capisse questo, credo che anche nei ristoranti di Varese vedremmo tranquillamente comparire o ricomparire i nostri prodotti, e questo sarebbe un bel volano dal punto di vista turistico ed economico. Un po’ come accade in molte altre regioni d’Italia dovremmo diffondere le nostre specialità in tutte le tipologie di locali, creando un interesse comune e stimolando l’orgoglio del territorio. Bisogna attirare il visitatore mostrandogli cosa siamo capaci di fare. È un tesoro che dobbiamo sfruttare”.
E il tesoro, per la sua parte, Aristeo lo ha fatto fruttare nel migliore dei modi, facendo man bassa di riconoscimenti: tre volte primo premio all’Expo dei Sapori, poi la vittoria al campionato del mondo di Cremona nel 2007, l’Eccellenza attribuita dall’ONAF al caprino nel 2008 (una delle 7 in tutta Italia) e infine, pochi giorni fa, il primo posto nel concorso della Franciacorta tra i migliori caprini d’Italia. Qual è il segreto di questo successo? “Il formaggio di capra – dice Paolo Satta – in questo momento, malgrado le sue radici antiche, è un prodotto molto moderno, grazie alle sue qualità nutrizionali e dietetiche: è un formaggio con pochi grassi, molto digeribile e che non crea quasi mai problemi di intolleranza. Ha ritrovato un grande mercato sia per questa ragione, sia perché è migliorato nella qualità: fino a qualche anno fa il formaggio di capra era fatto con poca cura, ora ci sono prodotti di livello elevato e quindi anche il buongustaio li riconosce come formaggio di punta”. Il problema, semmai, è la quantità: “Purtroppo in provincia di Varese non abbiamo abbastanza latte per realizzare la produzione che meriterebbero sia il territorio, sia le persone che desidererebbero questi formaggi. Questo limite ci costringe a perdere delle grandi occasioni”.
Ma come è arrivato Satta, di professione veterinario, all’avventura imprenditoriale? “Era una passione latente – racconta – che ha covato a lungo sotto la cenere prima di esplodere. È stato un salto denso di incognite e di incertezze, ma è andata bene. Ho scelto il formaggio di capra perché il territorio della provincia ha una lunga tradizione in questo tipo di prodotto, ma poi ci ho messo anche del mio, portando nel caseificio qualche elemento tecnologicamente avanzato; inoltre ho voluto confrontarmi con i francesi, che sono i maestri del formaggio, di capra in particolare. Da loro ho imparato tecniche più avanzate e anche una mentalità che in Italia non abbiamo: purtroppo i formaggi da noi patiscono molto l’ingombrante presenza del prodotto industriale, e il consumatore spesso confonde i formaggi standard e a basso costo con quelli artigianali, che inevitabilmente costano molto di più ma hanno picchi di qualità molto elevata, e anche una certa variabilità”.
Ascolta l'audio dell'intervista
Foto dal Salone del Gusto 2010
Alcune immagini dalla celebre manifestazione di Slow Food (21-22 ottobre 2010). Vedi anche il reportage La carica dei duecentomila![]() Cardo Gobbo di Nizza Monferrato |
![]() Degustazione di birra Baladin |
![]() Biscotti per tutti i gusti |
![]() Un'esplosione di Calabria |
![]() Coro di contadine laziali |
![]() La Reginetta alla tavola dello chef |
![]() Laboratorio sui pesci di mare abruzzesi |
![]() Squisite canocchie al vapore |
![]() Formaggi francesi invecchiati(ssimi) |
![]() Il grande mercato di Terra Madre |
![]() Piacentinu di Enna, che delizia! |
![]() Anche la verdura è Slow |
La carica dei duecentomila


L'altro aspetto interessante e suggestivo della manifestazione è il confronto tra culture: ancora una volta ha lasciato senza fiato il colpo d'occhio sul salone d'ingresso di Terra Madre, la convention mondiale di agricoltori, allevatori, cuochi e altri lavoratori del settore agricolo, stracolmo di delegati da ogni parte del mondo, ciascuno con il suo costume tradizionale e i suoi prodotti tipici. Così come hanno riscosso enorme successo gli stand dei Presìdi stranieri, dai formaggi svizzeri alle aringhe norvegesi, fino all'irresistibile yogurt alla cenere (!) etiope.
Ma al di là dell'apprezzabilissimo aspetto folcloristico, questo incrocio di popoli e paesi ha portato anche risultati concreti: panel di esperti che si sono confrontati sui temi "caldi" dell'alimentazione, gruppi di lavoro che hanno dato vita a documenti da presentare agli organismi governativi internazionali, laboratori avviati all'estero (Slow Food Toscana ha avviato iniziative in Macedonia, Kenya, Marocco e Georgia) e iniziative sovranazionali. Tra queste merita l'onore della chiusura il progetto "1000 orti in Africa", appoggiato da venti leader africani, che vedrà coinvolti agronomi italiani e africani e un team di esperti in energie rinnovabili con a capo Jeremy Rifkin: non a caso, proprio il teorico della Locusta...
(Articolo pubblicato su VareseNews del 26 ottobre 2010)
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Il problema non è soltanto quello contingente, legato alle violente proteste dei cittadini nelle ultime settimane: "Come agricoltore - continua il titolare di Casa Barone - ritengo che non si debba tacere il problema, ma far sentire la propria voce perché finalmente anche in Campania si arrivi a una gestione normale del ciclo dei rifiuti. Il nostro no non è per principio alle discariche; è un no a come attualmente viene gestito, anzi non viene gestito il ciclo dei rifiuti in Campania. Perché il ciclo non funziona, c'è poca raccolta differenziata, non c'è un impianto di compostaggio dell'umido: basti dire che si chiede ai Comuni di fare la raccolta dell'umido per mandarlo fuori regione, al costo di 230 euro a tonnellata, mentre scaricarlo tale e quale in discarica costa 80 euro a tonnellata. Non mi sembra un granché come incentivo. Per non parlare poi degli impianti CDR, quelli della famose ecoballe, ora riconvertiti in STIR, Stabilimenti di Tritovagliatura e Imballaggio Rifiuti: impianti che non funzionano, perché dovrebbero separare i rifiuti in umido da stabilizzare, secco differenziato da riciclare, secco indifferenziato per il termovalorizzatore di Acerra e solo alla fine inviare il resto in discarica. E invece a Terzigno ci finisce qualunque cosa, come gli stessi parlamentari europei hanno potuto constatare: quella è una discarica illegale". Il no a un'ennesima soluzione-tappabuchi, insomma, è chiaro e netto: "Noi le discariche in un Parco Nazionale riconosciuto dall'UNESCO non ce le vogliamo, aspiriamo a un modello di sviluppo ben diverso". Eppure già oggi, a discarica chiusa, esiste un problema-rifiuti: lo stesso generale Mario Morelli, capo della struttura d'emergenza, ha parlato del Parco come di un "immenso immondezzaio". "E' vero - commenta Giovanni Marino - esiste un problema di microdiscariche, esiste un Ente Parco Nazionale che non è mai decollato e non si può certamente parlare di un livello di coscienza ecologica della popolazione particolarmente elevato. Ciò nonostante dissento dal generale Morelli: quello che lui dice è vero, ma ciò non significa che dobbiamo metterci sopra il carico da novanta aprendo due discariche, di cui una sarebbe tra l'altro la più grande d'Europa, e non invece lavorare per avere un Parco Nazionale degno di questo nome".
Il tutto naturalmente anche a beneficio di prodotti che, come il Pomodorino del Piennolo, sono davvero unici al mondo. Questo ortaggio, coltivato solamente tra i 150 e i 450 metri sul livello del mare e senza irrigazione, trae dal terreno vulcanico e dai raggi solari caratteristiche inconfondibili: la forma tondeggiante, la buccia spessa, che consente una conservazione più lunga, e il sapore dolcissimo ma al tempo stesso acidulo. Il "piennolo" non è altro che un grande grappolo, del peso di diversi kg, legato con un filo di canapa e tenuto sollevato da terra per consentire un'aerazione costante e una lenta maturazione. "Sicuramente il nostro pomodorino non può essere considerato un competitor del San Marzano - spiega Marino - anzi, i due prodotti possono tranquillamente camminare a braccetto perché hanno usi gastronomici abbastanza diversi. Se devo fare un ragù lo faccio con il San Marzano, se devo macchiare uno spaghetto alle vongole uso il pomodorino, come farebbe qualunque cuoca napoletana e non solo. Ci sono altri prodotti che hanno caratteristiche simili, ma quello che rende il Piennolo insuperabile sono a mio avviso gli abbinamenti con i piatti di pesce: grazie alla sua elevata conservabilità, infatti, il Piennolo acquista nel tempo un retrogusto leggermente amaro, che si riscontra già verso ottobre e che spezza la nota dolce tipica del pesce. Questo benché sia un pomodoro molto dolce, ben 8-9 gradi sulla scala Brix, contro i 6,5 previsti dal disciplinare di produzione".
Ascolta l'audio dell'intervista
http://www.locuste.org/suoni/Piennolo.mp3
Il Salone buono

Il concetto è espresso, sia pure in modo più contorto, anche nello slogan della manifestazione: "Cibo + = territori". La formula mira a esprimere il legame a doppio filo tra gli alimenti e il luogo geografico in cui vengono prodotti, in grado - se correttamente tutelati e valorizzati - di sostenersi a vicenda e definire, sempre a vicenda, le rispettive identità.

In definitiva, ce n'è per tutti, anche per chi a Torino andrà solamente per deliziare il palato: in fin dei conti il Salone non rinnega la sua natura di enorme vetrina delle eccellenze italiane e straniere, con tanto di assaggi gratuiti offerti dalla maggior parte degli stand. Nel 2008 erano addirittura 432 le bancarelle e 188 gli stand a disposizione dei visitatori, in quasi 18.000 mq di spazio: quest'anno non saranno più divisi per tipologia di prodotto, come accadeva in passato, ma per zona di provenienza. Tra le attrattive più stuzzicanti si segnalano l'Enoteca, una zona dove degustare oltre 2000 vini, e lo spazio dedicato alle Cucine di Strada di tutto il mondo, dal kebab alla piadina romagnola. Novità di questa edizione sono la sala Banca del Vino, dove gli appassionati potranno assaggiare le etichette delle annate più pregiate e quelle premiate dalla nuova guida "Slow Wine", e il Cocktail Bar, con i migliori bartender del mondo impegnati in esibizioni acrobatiche.
Per chiudere, l'attenzione all'ambiente e alla sostenibilità: quest'anno il Salone del Gusto, in collaborazione con Politecnico di Torino e Università di Scienze Gastronomiche, si è posto l'ambizioso obiettivo di ridurre del 60% l'impatto ambientale dell'evento. L'utilizzo di stoviglie, posate, bicchieri e tovaglioli biodegradabili, la preferenza accordata a materiali ecologicamente sostenibili per gli allestimenti e il trasporto delle merci, la raccolta differenziata dei rifiuti e la riduzione dell'utilizzo della carta sono tutti strumenti per arrivare a questo traguardo, simbolicamente dalla "Cena degli Avanzi" che lunedì 25 ottobre, alla chiusura del Salone, coinvolgerà un gruppo di celebri cuochi (stellati e non) nel tentativo di riciclare in un menu appetitoso tutte le materie prime non più conservabili.
Il Salone del Gusto è aperto da giovedì 21 a domenica 24 ottobre dalle 11 alle 23 e lunedì 25 ottobre dalle 11 alle 20. Il biglietto intero giornaliero ha un costo di 20 euro (gratuito per i bambini fino a 10 anni, scontato a 12 euro per under 22 e over 65); l'abbonamento per tutta la manifestazione costa invece 60 euro. I tagliandi sono in vendita anche on line sul sito ufficiale del Salone. Le prenotazioni per gli eventi a pagamento (Laboratori, cene e incontri) sono già chiuse, ma presentandosi alla Reception Eventi si potrà approfittare di eventuali posti ancora disponibili.
(Articolo pubblicato su VareseNews del 20 ottobre 2010)
Il bilancio del Salone
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