Investigatori in cucina

“Alta” o “bassa” letteratura? Non lo sappiamo e, forse, non ci interessa neppure. Sta di fatto però che negli ultimi decenni la narrativa europea e americana è stata attraversata, se non addirittura dominata, dal fenomeno del “giallo”. Investigatori, agenti, detective sono diventati protagonisti assoluti di una serie infinita di romanzi e racconti di fama mondiale. In particolare si è universalmente affermata, nel corso del dopoguerra, una figura in parte stereotipata ma sicuramente affascinante: quella dell’ “uomo di legge” burbero ma severo, solitario, cinico, scottato dalle esperienze e dai traumi della vita. E, soprattutto, amante della cucina. Questa della gastronomia è, infatti, una caratteristica che ricorre nei gialli in modo persistente, a prescindere dagli anni e dalla latitudine in cui sono stati creati. Non ci è dato sapere il perché, ma è un fatto che gli indagatori cedono spesso e volentieri alla buona cucina; e se per alcuni personaggi, come il mitico Hercule Poirot creato da Agatha Christie, la resa ai piaceri della tavola è solo sporadica, per altri è un vero e proprio tratto distintivo, una caratteristica fondamentale dello stile di vita che li anima.

Il capostipite di tutti gli investigatori-gourmet è senza dubbio il commissario Maigret, personaggio uscito dalla penna del belga Georges Simenon (1903-1989) che gli ha dedicato ben 76 romanzi e 26 racconti. Uomo esperto e navigato, Maigret dirige il commissariato di Parigi (il famoso “Quai des Orfèvres”) con i suoi metodi all’antica: poco spazio all’avanguardia tecnologica, molto alla psicologia e al fiuto per il crimine. Maigret è anche un buongustaio, ma i piatti che apprezza non sono certo quelli di alta cucina: il commissario ama gustare i manicaretti della moglie (soprattutto la quiche lorraine) e le pietanze alla buona dei vecchi bistrot francesi, piccoli, fumosi ma capaci di offrire cibi autentici e tradizionali. Sono ben 90 le ricette trovate nei racconti di Maigret da Robert Jean Courtine, che all’argomento ha dedicato un libro (“A cena con Simenon e il commissario Maigret”). Ecco un passo tratto da Maigret e il capellone imprudente:

C’erano ancora duecento metri da percorrere per arrivare a casa sua, dove regnava un odore di sgombri al forno. La signora Maigret li cucinava con vino bianco, a fuoco lento, con abbondante senape.

Del tutto diversa la figura di Pepe Carvalho, investigatore privato creato dalla fervida fantasia dello spagnolo Manuel Vazquez Montalban (1939-2003). Ex studente contestatore, ex militante comunista, ex agente della CIA, Carvalho si dedica alle sue indagini in perenne contrasto con le forze dell’ordine “ufficiali” e non si fa certo scrupoli pur di scoprire i colpevoli: non è raro trovarlo ubriaco in qualche bettola o a letto con un’indagata. Di caratteristiche particolari Carvalho ne ha parecchie (è l’amante di una prostituta, vive con un avanzo di galera che gli fa da cuoco e segretario, brucia ogni sera un libro nel camino), ma soprattutto vanta un amore sconfinato per il cibo, che per lui è una vera e propria religione. Benché non sia certo ricco, Carvalho ama i grandi piatti e i grandi vini, e sa apprezzare ogni tipo di cucina, dalla più artigianale a quella dei ristoranti di lusso. Fra gli innumerevoli brani in cui sono citati piatti e ricette abbiamo scelto questo, tratto dal raccontino La solitudine accompagnata dal tacchino arrosto:

Le atascaburras alla maniera di Cartagena, e soprattutto alla maniera della nonna di Carvalho, si fanno lessando patate, baccalà, aglio e peperoni. Si pesta poi il tutto nel mortaio, con aglio più o meno abbondante a seconda della natura più o meno atavicamente spagnola del palato dei commensali, e si lega l’impasto - denso come colla da tappezziere - con olio e limone, e dovrà avere l’aspetto di un purè rossiccio, dal sapore aspro e aggressivo, con il bouquet finale del baccalà riconcentrato. Quanto al tacchino, disossato e pulito a dovere, viene farcito con salsicce, pezzetti di prosciutto, di prugna, di albicocche secche ammollate prima in acqua bollente, tartufi, castagne lesse, pinoli, sale, pepe, cannella, prezzemolo, vino vecchio e poi lo si mette ad arrostire in una casseruola dopo averlo unto con lo strutto e aromatizzato ancora con cannella, alloro, origano, vino e averlo bagnato con un po’ d’acqua perché la salsa diventi poi sufficientemente ed esattamente morbida e unta.

Da non dimenticare che Montalban è autore anche di uno splendido volumetto di ricette, tutte in qualche modo imparentate con il tema del sesso e della seduzione, intitolato appunto “Ricette immorali”.

Diretto discendente di Carvalho è il commissario Salvo Montalbano, notissima creazione di Andrea Camilleri (nato nel 1925). Con i suoi illustri predecessori Montalbano ha parecchi punti in comune, tanto da far pensare a un’ispirazione diretta. In questo caso ci troviamo di fronte a un poliziotto dal ruolo “ufficiale”: commissario del distretto di Vigata. Ma il suo approccio alla professione, come ben sanno i tanti lettori e gli spettatori del fortunatissimo serial televisivo tratto dalle sue avventure, è quantomeno particolare. Famoso per il suo linguaggio inconsueto, un mix audace di italiano e dialetto, Montalbano è anche una vera e propria Locusta in pectore: nei “suoi” libri, come del resto in tutti quelli di Camilleri, i riferimenti alla cucina sono a dir poco esorbitanti. Con le numerosissime “mangiate” a cui si dedica il commissario, e con le sue escursioni fra mercati e cucine, si potrebbe riempire un libro intero. Qui ci limitiamo a riportare un magistrale brano da La prima indagine di Montalbano:

Tornò al corso, che si chiamava via Roma, e subito vitti un’insegna sulla quale ci stava scritto “Trattoria San Calogero”. Raccomandandosi al Signuruzzu, trasì. Tutti i tavoli erano vacanti, di certo non era l’orario giusto, troppo presto.
- Si può mangiari? - spiò a un cammareri coi capelli bianchi che, sentendolo trasire, era nisciuto dalla cucina e lo taliava.
- Non c’è bisognu di pirmissu - arrispunnì asciutto l’altro.
S’assittò, arraggiato con se stesso per la domanda cretina.
- Abbiamo antipasto di mare, spaghetti al nivuro di siccia, o alle vongole o ai ricci di mare. -
- Gli spaghetti ai ricci di mare bisogna saperli fare - fece dubitativo Montalbano.
- La laurea in ricci di mare mi pigliai - fece il cammareri.
Montalbano avrebbe voluto mangiarisi la lingua a muzzicuna. Dù a zero.
Dù frasi ‘mbecilli so’ e dù risposte intelligenti.
- E per secondo? -
- Pisci. -
- Che tipo di pisci? -
- Quello che vuole lei. -
- E com’è cucinato? -
- A secunno del pisci che sceglie. -
Megliu cucirisi la vucca.
- Mi porti quello che vuole. -
Capì d’aviri pigliato la decisione giusta. Quanno niscì dalla trattoria s’era mangiato tre antipasti, un piatto di spaghetti ai ricci di mare bastevole per quattro pirsone e sei triglie di scoglio fritte al millimetro, eppure si sentiva leggìo leggìo, pervaso da un benessere tale da stampargli un sorriso ebete sulla faccia. Si fece assolutamente pirsuaso che, una volta a Vigàta, quello sarebbe stato il suo ristorante d’elezione.

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