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Osterie d'Italia 2012

Una fascia bianca in copertina e cartine geografiche più dettagliate: un po’ poco per parlare di rivoluzione. Ma si sa: quando si ha a che fare con un’istituzione come la guida Osterie d’Italia, caposaldo dell’attività editoriale di Slow Food, anche il cambiamento più infinitesimale può scatenare il pandemonio tra gli appassionati. E nell’edizione 2012 del popolarissimo manuale, a guardar bene, le novità non sono soltanto superficiali: cambia, tanto per cominciare, il curatore, da quest’anno “sdoppiatosi” nelle figure di Marco Bolasco, già da qualche tempo direttore editoriale del gruppo, e del giovane Eugenio Signoroni, uno dei primi laureati dell’Università di Scienze Gastronomiche. Nuovi arrivi non secondari: se è vero che a “fare” la guida è un esercito di circa 400 collaboratori, è altrettanto vero che i responsabili del progetto hanno impresso, soprattutto quest’anno, una linea editoriale forte e decisa. Sono stati loro stessi a illustrarla, nel corso della presentazione ufficiale tenutasi a Rho davanti a oltre 200 osti e ristoratori “chiocciolati”: “È una guida diversa ma è sempre la stessa guida – ha detto Bolasco – abbiamo cercato di migliorarci puntando soprattutto su un fattore: la valorizzazione degli ingredienti e delle materie prime, con un’attenzione sempre più concreta ai contenuti dei menu”. Dunque indicazioni più precise sulla provenienza e sulla filiera degli alimenti utilizzati, ma anche testi più lunghi e particolareggiati: “Non possiamo inseguire la brevità e la semplicità della rete – spiega ancora il curatore – dunque cerchiamo di mantenere il nostro ruolo, che è prevalentemente di selezione e di analisi, e per farlo non lesiniamo sul testo”. Una concessione all’on line, comunque, c’è: per la prima volta Osterie d’Italia sarà declinata anche in modalità mobile, grazie a una app per iPhone che verrà svelata nei prossimi giorni.

Non è finita: ci sono anche, come detto, mappe più leggibili e dettagliate, con l’indicazione dei locali che hanno ricevuto la prestigiosa Chiocciola (sono 225 in totale: 24 in Piemonte e Toscana, 23 in Veneto), e per ogni regione d’Italia una nuova introduzione che riassume sommariamente i cibi e i piatti più caratteristici. Ma la novità per noi più gradita, anche perché da anni la invocavamo a gran voce, è la maggior trasparenza sui prezzi: non che si sia abbassata la soglia d’ingresso (ormai di osterie dove mangiare con 25 euro non se ne trovano quasi più), ma perlomeno vengono indicati con precisione i costi dei menu e, in molti casi, anche dei singoli piatti. Una bella iniziativa che dovrebbe porre fine a “equivoci” più o meno voluti nel conto finale. Meno piacevole, invece, l’aumento del prezzo della guida stessa: da 20 a 22 euro, ma va pur detto che non accadeva da diversi anni.

Che altro aggiungere? 928 pagine, 1171 locali segnalati di cui 169 nuovi, 198 insigniti dell’etichetta di Locali del buon Formaggio e 414 rinomati per i vini: tutti numeri in aumento rispetto allo scorso anno. In più c’è la sezione “Oltre alle Osterie”, un omaggio ai locali che, si potrebbe dire maliziosamente, “ce l’hanno fatta”, o comunque sono passati dall’altra parte della barricata trasformandosi in ristoranti di fascia alta, più costosi e più creativi. La soluzione grafica adottata per distinguerli, lasciatecelo dire, è orrenda, ma almeno l’obiettivo è raggiunto.

Per finire, l’abituale bilancio “campanilista”: fa piacere che sia stata introdotta una sezione sulle cucine regionali a Milano, anche se ridurla a 4 locali è decisamente limitante. Per il resto, c’è davvero poco da ridere: la provincia di Milano e quella di Varese (per non parlare di Monza e Brianza) sono gastronomicamente sempre più depresse. Nel deserto generale spiccano, per fortuna, due novità: la Cascina Rosio di Albairate, all’interno del Parco Agricolo Sud Milano, e il ristorante Smeraldo di Dumenza, sui monti di Luino. Da provare.

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