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Sant'Antoni dul Purscell

Il marketing può davvero tutto, anche in campo culinario. Chi avesse ancora dei dubbi in merito può riflettere su zone, alimenti e pietanze completamente trascurati dalla storia dell'enogastromia, semplicemente per la (colpevole) mancanza di una politica di valorizzazione, sia pur minima, del territorio e dei suoi prodotti.
L'esempio dell'Altomilanese - area di difficile definizione che va dal magentino al varesotto - in questo senso è paradigmatico: in quest'area la cucina e l'alimentazione locale sono state per anni trascurate fino alla cancellazione e all'oblio (solo recentemente fulgidi esempi come quello di Davide Oldani con il suo D'O hanno invertito la tendenza).
Non vogliamo certo affermare che Busto Arsizio o Settimo Milanese, tanto per fare due nomi, trabocchino di chissà quali tesori gastronomici: è evidente però che alcuni piatti e preparazioni del luogo, totalmente ignorati dalla critica "ufficiale", meriterebbero invece ben altra attenzione. Ci sta provando meritevolmente Angelo Grampa, grande interprete del folclore bustocco che, negli anni, ha pubblicato appetitosi trattati sulle specialità locali come i bruscitti e la rustisciana. Questa volta, in onore degli amici del "Magistero dei Bruscitti", Grampa si cimenta con un piatto ben più diffuso in tutto il milanese ma anche paradossalmente poco conosciuto: la cassoeula o, come la definisce l'autore con una tipica italianizzazione, cazzuola.
Chi la conosce solo superficialmente ne fa - a sproposito - un esempio di pesantezza e indigeribilità, ma non va dimenticato che si tratta pur sempre di un piatto contadino, certamente sostanzioso e adatto alla stagione invernale eppure lontanissimo dalla ricchezza elaborata delle pietanze da re. In realtà la "cazzuola", semplice ma preparata secondo regole rigidissime, merita di essere riscoperta nella sua vera essenza.

Grampa lo fa con il suo consueto stile apparentemente disordinato, cogliendo riferimenti da una parte e dall'altra e unendo, con un collegamento simpaticamente blasfemo, il piatto al Santo della ricorrenza in cui lo si gustava: Sant'Antonio, ovvero Sant'Antoni dul Purscèll, come veniva popolarmente chiamato. Non mancano le ricette alternative, le dissertazioni storico-filologiche e quelle puramente nutrizionali ("Ma le verze, al fine, sono indigeste?") in questo che, più che un trattatello, è un ennesimo atto d'amore nei confronti della cucina locale e della memoria da preservare.
Un libro sfizioso e interessante che si inserisce in una serie ben "nutrita" di volumi dedicati alle specialità della zona: ricordiamo per esempio "Polenta e bruscitti" di Macchione Editore e l'ormai classico "Cucina bustocca" di Carlo Azimonti, oltre ovviamente alle pubblicazioni dello stesso Magistero dei Bruscitti. Segno che qualcosa, almeno a livello editoriale, si sta muovendo...

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