Una questione di etichetta
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- Pubblicato Giovedì, 22 Aprile 2004 14:53
Con il passare del tempo la realizzazione delle etichette è divenuta una vera e propria arte, e non di rado le case produttrici si sono affidate a esperti di grido per curare quello che, con termine mutuato dal marketing, possiamo definire packaging. Altri, ed è di loro che vogliamo occuparci, hanno fatto ricorso alla letteratura, accompagnando i loro vini con citazioni illustri che collegano l'amore per la bevanda di Bacco alla passione per la cultura. Fra questi il più prestigioso è sicuramente il Nepente di Oliena, che può fregiarsi di una denominazione quasi sacra: il nome "Nepente", che richiama quello di un'antica droga greca, fu infatti attribuito a questo ottimo Cannonau nientemeno che da Gabriele d'Annunzio (che pure era astemio). E ancora oggi sulla bottiglia si può leggere il suo meritato elogio:
"Non conoscete il Nepente d'Oliena neppure per fama? Ahi lasso! Io sono certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall'ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellete scarpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all'odore; e l'odore, indicibile, bastò a inebriarmi."
Certo, non tutti i vini possono vantare origini così illustri: ma questo non impedisce al Refosco "Il Palù" della cantina Botter, medaglia d'oro 2004 a Vinitaly, di illustrare le sue virtù con una frase altrettanto significativa. La dichiarazione d'amore del grande scrittore russo Anton Cechov è perentoria:
"Il vino e la musica sono sempre stati per me un magnifico cavatappi."
Per la bottiglia di Bonarda "Violetto" della cantina Ventidone (PC) si è invece scomodato (si fa per dire) il poeta Angelo Poliziano. Ecco la sua citazione che compare sull'etichetta del frizzante vino emiliano:
"Quinci Bacco e Amarilli e quindi Amore mi fan con dolci vezzi invito a baci: l’un nelle belle tue labbra vivaci, l’altro in bicchier di porporino umore."
Vogliamo però chiudere questa breve carrellata con un'etichetta che non ha nulla di letterario, ma ci ha colpito per la sua semplicità e sincerità. E' quella del Lambrusco Grasparossa "Vecchio Moro", della viticultura Rinaldini di Calerno di S.Ilario d'Enza (RE). Ecco la dicitura che compare sul retro, senza ulteriori commenti:
"Oltre un secolo fa, a Montecchio, nasceva mio padre. Lo rivedo, e ne ho nostalgia, mentre risale dalla cantina dell'osteria di famiglia (già antica allora) con le bottiglie nere coricate tra le braccia, come bambini. Lo vedo stappare, annusare il tappo, ostentare orgoglio per la vitalità, i profumi, il colore del suo lambrusco.
Seint mo che vin l'è costchì. Vedo la schiuma che sale, i tegami sul fuoco, l'eterna polenta. Sento le dispute rituali su questo e su quel lambrusco, il bere fragoroso. Assisto all'accordo immancabile su una questione soltanto, e la sentenza è religiosa: Lambrusco, Ancellotta, Maranino. Amarcord.
Ho questo trio nei miei vigneti. Ho, di quel tempo, immutati, entusiasmi e passioni. E, dimostrata, la certezza che da queste Terre possono prendere vita emozioni autentiche: come questo vino, che dedico con devozione a mio padre. Rinaldini Giuseppe, detto il Moro, classe 1896, Oste."
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