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Snow Food

Se per entrare nelle sale bisogna fare a spallate anche mentre fuori infuria la tempesta di neve (o l’allarme per la presunta tempesta, che poi è lo stesso), si può dire che il tuo evento è riuscito. Si può commentare con questa semplice massima l’andamento dell’edizione 2013 di Identità Golose, o per meglio dire Identità Milano, il congresso internazionale di cucina creato da Paolo Marchi, oppure si possono sciorinare i freddi numeri (ghiacciati, in questo caso): 30% in più di visitatori, 1350 tra giornalisti e fotografi per 375 articoli nei primi 10 giorni di febbraio. Basta questo? Per fare la felicità degli organizzatori forse sì, ma bisogna pure aggiungere che quella appena conclusa è stata un’edizione di Identità Golose diversa dalle altre, come già faceva intendere il tema scelto: quello del rispetto. Rispetto per se stessi, per la cucina e per i cuochi, ma anche per la natura, per gli ingredienti e per il cliente, portafoglio compreso. Non sono stati soltanto gli interventi dei quasi 80 chef e pizzaioli presenti a ribadire questo concetto, nelle sue varie declinazioni; la manifestazione stessa ha cambiato faccia, assecondando un gusto non certo pauperistico – parliamo pur sempre di ristoranti di fascia alta o altissima – ma certo più maturo e consapevole del momento storico che stiamo vivendo. Insomma, meno sfarzo, meno show e più concretezza, senza rinunciare all’intrattenimento che resta il sale della manifestazione. Eloquente il gesto del superVIP Carlo Cracco, che annuncia l’intenzione di aprire un ristorante low cost entro il 2014; ma pure Davide Scabin con il suo menu “per tutte le tasche”, o Massimo Bottura che si propone come interprete principe della cucina post-crisi, rappresentano efficacemente la tendenza in corso.

Il risultato finale è un evento, a nostro avviso, decisamente migliorato, più snello nella gestione del programma e più curato nelle aree espositive. Lo stesso non si può dire per il “cuginetto” Milano Food&Wine Festival, onestamente un po’ sacrificato rispetto alla manifestazione principale, anche se salvato dai quotidiani e interessanti show cooking dei cuochi presenti. La presenza dei grandi sponsor, da San Pellegrino in giù, è ben visibile e talora un po’ ingombrante: si sfiora la farsa quando qualche chef, subito rimbrottato, si lascia sfuggire la parola tabù “parmigiano reggiano” al posto di Grana Padano… D’altra parte, sono le aziende partner a permettere l’esistenza del congresso e alcune di loro, Birra Moretti, primeggiano nello sfornare eventi decisamente accattivanti: citiamo per tutti l’esibizione culinaria dello chef Claudio Sadler, che davanti a un pubblico incantato ha mostrato la preparazione delle sue “noci di capesante affumicate, marshmallow alla birra chiara, agro di senape e quinoa croccante”, un piatto delizioso per la vista (vedi foto) e per il gusto, naturalmente accompagnato da un bicchiere di Baffo d’Oro.

Tutto questo per quanto riguarda la forma, ma i contenuti? Be’, quelli accumulati da Massimo Bottura nel suo intervento basterebbero a scrivere un libro: magari un libro come “Vieni in Italia con me” di Umberto Notari, fondatore de “La Cucina Italiana”, a cui lo chef modenese si è ispirato per un nuovo menu della sua Osteria Francescana. “Chiediamoci quello che possiamo fare noi per il nostro paese – esordisce Bottura in spirito kennedyano – questo è il momento di guardarci in faccia e innamorarci di nuovo dell’Italia. Con il mio menu parto dalle materie prime di tutte le regioni per trasmettere quotidianamente un po’ di bellezza ai visitatori”. Quando parla di crisi, Bottura è un fiume in piena: “Rompere è un atto creativo, serve per trasformare e ricostruire. Il nostro paese è a pezzi, diviso, frammentato e violentato: noi rimettiamolo insieme, riscoprendo i pezzi e riordinando le idee”. I concetti chiave sono sei: rispetto, identità, responsabilità, saggezza e cultura, concretizzati in una serie di creazioni culinarie. C’è l’immaginifico cappuccino di cipolla e patata accompagnato dal cornetto di ciccioli frolli, ma anche il “Viaggio da Modena a Mirandola”, un piatto a base di cotechino, Lambrusco e sbrisolona: tutti ingredienti provenienti dalle zone colpite dal terremoto del 2012. “Un piatto che è un gesto sociale” spiega Bottura. C’è un’atmosfera poetica, invece, è alla base della “Millefoglie di foglie”, una ricostruzione visiva ma anche gustativa del paesaggio del bosco: “Il segreto della felicità è lasciare libera una parte di noi di vagare verso la poesia”. Da applausi “L’arca di Noè”, un brodo nato dalla carne dei più svariati animali – piccione, faraona, vitello, persino rane e anguille – con tortellini ripieni delle stesse materie prime; e infine c’è la “Lepre nel bosco”, una rivisitazione radicale del civet di lepre. “Se non si conosce la classicità – dice Bottura – non si può innovare. Prima di imparare le disidratazioni bisogna saper tirare la pasta con la cannella!”.  L’intervento, applauditissimo, si chiude con un richiamo ai concetti già espressi in fase di presentazione: accanto alla figura del cuoco va rivalutata quella del personale di sala, è necessario “rompere il confine tra sala e cucina” perché “solo con il gruppo ci si proietta nel futuro”.

Smaltita la sbornia botturiana si passa al resto, che non è meno meritevole di attenzione: a partire dai VIP come Cracco o Davide Oldani, che incentra il suo intervento sulla ricerca dell’equilibrio tra i contrasti, per arrivare all’emergente Pier Giorgio Parini dell’Osteria del Povero Diavolo di Torriana (Rimini). Uno che, tanto per esaltare il concetto di “rispetto per il piatto”, ti propone una pietanza incredibile a base di foglie di bietola invernale, miele ed estratto di alloro, e se la chiedi una seconda volta si rifiuta di servirtela: “deve lasciare l’impressione del primo assaggio”. Poi c’è il ciclo parallelo Identità di Pizza, in cui si esplorano tutte le possibili varianti di uno dei più tipici piatti italiani: come le invenzioni del romano Stefano Callegari, che dopo aver ideato il “trapizzino” e la pizza all’amatriciana ci riprova con la pizza “cacio e pepe” (nell’impasto c’è il ghiaccio!) e il “calzone ai tre modi”, piegato in tre per offrire altrettanti gusti diversi.
Strano ma vero, il ciclismo unisce le carriere di cuochi molto distanti tra loro. Da una parte c’è Christian Milone, ex professionista delle due ruote e oggi titolare della Gastronavicella di Pinerolo, che al Food&Wine Festival ha preparato la sua pancia di maiale alla birra, patate e cicoria di campo: non a caso è stato premiato come migliore chef “birrario” del 2012. Dall’altra Daniel Humm, irresistibile chef dell’Eleven Madison Park di New York, spiega che “la cucina è uno sport di resistenza come il ciclismo, solo che non ho ancora trovato il doping”. E poi confessa: “Negli USA è molto meglio essere svizzeri, sui cuochi francesi ci sono troppe aspettative!”. Il suo piatto più stupefacente è la tartare vegetariana, a base di carote rigorosamente newyorchesi; mentre l’asso nella manica di David Kinch, del californiano Manresa, è il pop corn di farro. “Rispetto per il prodotto – spiega Kinch – significa anche non buttare via niente: noi produciamo solo quello che ci serve per cucinare”.
Uno sguardo al futuro arriva con il ciclo di eventi organizzati per il 2013, anno della cultura italiana negli USA: più di 400 tra concerti, spettacoli ed esibizioni gastronomiche. L’onnipresente Bottura, insieme a quattro cantine italiane (Masi, Frescobaldi, Donnafugata e Berlucchi) parteciperà a tre eventi promozionali tra New York e Washington. E poi c’è l’Expo 2015: l’amministratore delegato Giuseppe Sala giura che “è un successo annunciato”. Vorremmo potergli credere.

Chiudiamo con un breve excursus sul Food&Wine Festival: tra i vini assaggiati meritano sicuramente una citazione quelli della cantina Secondo Marco, piccola azienda della Valpolicella che produce un ottimo Amarone ma anche un Recioto da non sottovalutare. Ottimo il Robbione della tenuta Colli di Serrapetrona, 100% di uve Vernaccia Nera così come lo spumante rosato Blink. Segnalazioni anche per il Merlot Quercegobbe della toscana Petra e per lo spettacolare passito L’Ecrù (blend di Zibibbo e Malvasia) della cantina Firriato di Trapani.

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