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Così prezioso come il vino

“Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore?”: per completare la citazione faberiana del titolo apriamo così, con una domanda rivolta agli oltre 4600 espositori partecipanti, il nostro resoconto su quello che molti hanno definito il Vinitaly più grande di sempre. I numeri ufficiali forniti dagli organizzatori confermano quella che era stata un’impressione assai tangibile durante i quattro giorni della rassegna, svoltasi a Verona dal 7 al 10 aprile 2019: 125mila visitatori, 80mila dei quali hanno partecipato agli eventi del "fuorisalone", 33mila buyer esteri da USA, Germania, UK, Cina, Canada e altre 140 nazioni (il 3% in più dello scorso anno), più di 1 milione di visite al sito ufficiale nelle ultime due settimane. Una grande festa a cui nessuno è voluto mancare, dalla “triade” dei governanti – a stretto giro di posta si sono succeduti in fiera il presidente Giuseppe Conte e i suoi vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio – ad autorità locali, VIP, chef stellati, personaggi televisivi, radio, tv e giornali di vario genere. In questo scenario rutilante e seducente, il problema principale resta però quello denunciato nell’incipit: vendere, possibilmente di più e meglio.

Inutile rivangare ancora un tema che è stato affrontato da ogni punto di vista possibile, e tutto sommato si può riassumere in due dati: l’Italia è di gran lunga il primo produttore di vino al mondo ma non è (e non è mai stato) il primo esportatore in termini di valore. Soprattutto, i vini del nostro paese faticano a imporsi sul mercato con il maggior potenziale di crescita: quello dell’Asia orientale (terzo a livello globale dopo UE e Nord America) e, in particolare, della Cina. Basterà la nuova piattaforma Wine To Asia, presentata proprio nel corso della fiera e in programma dal 2020 a Shenzhen? Speriamo, ma il fatto è che dell’espansione verso la Cina si discute ormai da tempo immemorabile senza significativi miglioramenti: anzi, nel corso dell’ultimo anno il trend di crescita si è persino invertito. Il problema del vino italiano – e anche questa rischia di essere una banalità -  è certamente l’eccessiva frammentazione, resa evidentissima anche al Vinitaly dalle enormi differenze promozionali, organizzative, politiche non solo tra diverse regioni, ma addirittura tra province, consorzi, sigle associative.

Solo che, paradossalmente, la stessa frammentazione costituisce anche la massima ricchezza del settore enologico del Bel Paese: in nessun altro luogo al mondo è possibile degustare, come accaduto nello splendido evento “La Riserva del Trecentenario” organizzato dal Consorzio Vino Chianti Classico, sei diversi vini della stessa tipologia, prodotti nello stesso anno in un raggio di una sessantina di chilometri, eppure completamente diversi l’uno dall’altro per aromaticità, corpo, tannini e ogni altro criterio di valutazione. E se questo vale per una singola regione, figuriamoci per l’intero territorio italiano: non è un caso se – al di là della nostra ignoranza – non passa un’edizione del Vinitaly senza scoprire un “nuovo” e sorprendente vitigno. Ci era successo in passato con la Tintilia e, ancora prima, il Cesanese del Piglio, questa volta è capitato ad esempio con il Bellone laziale o il Piculit Neri friulano.

Quale può essere dunque la soluzione? Se ne avessimo una, indubbiamente non saremmo qui. Magari il segreto è adottare una strategia di marketing aggressiva come gli stand del padiglione International Wine che hanno rifiutato a priori qualsiasi tipo di visitatore non interessato all’acquisto, fino all’estremo dell’eloquente cartello “No sommelier, no giornalisti, no drink”. Efficace? Bisognerebbe chiederlo a loro, ma noi non li citeremo e parleremo invece di produttori più “illuminati” e disponibili come quelli della Familia Castaño, che ci hanno fatto scoprire le delizie vinicole del Sud-Est della Spagna. Più un generale, preferiamo ancora un Vinitaly dal volto umano in cui i vignaioli, nonostante la ressa talvolta insostenibile, sono disposti a trattenersi un minuto in più con potenziali clienti e appassionati, anche se “senza portafoglio”; quello dei consorzi che promuovono, con degustazioni brevi e mirate, le attività delle piccole aziende del territorio; quello informale e scanzonato di realtà come la FIVI o l’associazione Vi.Te (Vignaioli e Territori), in cui a fine giornata i produttori si fermano sempre ad assaggiare i vini del vicino di stand, per poi scatenarsi nella vita notturna del “fuorisalone” Vinitaly and the City.

Esauriti i discorsi sui massimi sistemi, non ci resta che lasciarvi con la tradizionale panoramica delle cantine visitate: quest’anno molto più corposa, perché per la prima volta ci siamo concessi due giornate consecutive in fiera. Dopo due anni di assenza, del resto, la sete non poteva che aumentare a dismisura!

Cantina TaniMonti (SS): Il grande boom del Vinitaly, grazie all’Isola dei Nuraghi Serranu selezionato da 5StarWines come miglior rosso d’Italia, che ha attirato legioni di bevitori allo stand. E pensare che l’azienda era sempre stata specializzata nel Vermentino, tanto da chiamare con questo nome il suo agriturismo… Il vino premiato siamo infine riusciti ad assaggiarlo: è un blend di Cannonau, Muristellu e Merlot, vellutato e un po’ ruffiano, che delizierà chi trova troppo “potente” il Cannonau in purezza (come il Donosu). Ma da apprezzare sono anche i Vermentini, il Taerra e la riserva Meoru.

Cignano – Fossombrone (PU): Uno dei trending topic del vino italiano è l’affinamento in anfora o giara di terracotta, e questa cantina marchigiana lo sfrutta nel migliore dei modi, dando vita al fresco e sapido Bianchello del Metauro Superbo Ancestrale. Ottime, comunque, anche le altre “incarnazioni” del vitigno: il Brut Irrequieto, il Bianco Assoluto e il Superiore San Leone.

I Vini di Emilio Bulfon – Valeriano (PN): Una sorpresa dietro l’altra nel catalogo di questa casa vinicola, che valorizza con le sue bottiglie (anche esteticamente splendide) una serie di vitigni autoctoni friulani sconosciuti ai più. Alcuni esempi sono lo Sciaglìn, vinificato sia come bianco fermo sia in versione Brut; il Forgiarin, un rosso fruttato e intenso; l’Ucelùt, vino da dessert e da meditazione; e soprattutto il Piculit Neri, rosso esuberante e molto tannico.

Pacher Hof – Novacella (BZ): Per chi ama i vini d’alta quota non c’è nulla di meglio degli splendidi bianchi di questa piccola cantina nei pressi di Bressanone, quasi tutti affinati in botte grande “alla tedesca”. Il più interessante è forse il Grüner Veltliner, fresco e deliziosamente speziato; meritano però anche il Sylvaner, elegante e fruttato, e i grandi classici come Müller Thurgau e Pinot Grigio.

Sant’Eufemia – Cisterna di Latina (LT): Cantina giovane e molto “social”, ma che ha tanto da dire sul piano dei contenuti. Anche se il prodotto di punta è considerato il Merlot barricato Fiammingo, di ottimo corpo, noi abbiamo apprezzato in particolare i bianchi, soprattutto quelli ricavati dall’antico vitigno laziale Bellone: l’Ultimo Colle in purezza, l’Issa in versione Brut e il Chiò, un blend con il Grechetto.

Spiriti Ebbri – Spezzano Calabro (CS): Avete mai assaggiato un bianco calabrese, per di più affinato in barrique? Provate l’intenso e corposo Neostòs Bianco, ricavato dalle rare uve Pecorello, e resterete incantati. E già che ci siete, scoprite anche il Cotidie, che riunisce i principali vitigni regionali (Magliocco, Guarnaccia e Gaglioppo) e il Neostòs Rosso, un vino con ottimo potenziale di invecchiamento.

Montaia – Cesena: Nota anche per le etichette disegnate dal grande Tonino Guerra, la cantina sta cercando di modernizzare la sua immagine con una nuova linea. I vini rimangono però quelli tradizionali: il fresco e frizzante Pignoletto, il fruttato Chardonnay e soprattutto il Sangiovese Superiore, anche nell’ottima versione Riserva.

Cantine Astroni – Napoli: I vini dei Campi Flegrei sono tra i più originali d’Italia, sia per la natura del terreno sia per la loro longevità. La Falanghina, forse il primo vitigno coltivato sul territorio nazionale, è rappresentata sia dall’ottima versione base Colle Imperatrice, sia dalla cru Vigna Astroni, derivata da un antico vigneto a terrazze e di straordinaria sapidità e mineralità. Ma ancora più sorprendente è forse il Piedirosso Colle Rotondella, complesso, intenso e fruttato.

TormarescaMinervino Murge (BT): Cosa dire ancora di questa celebratissima cantina pugliese del gruppo Antinori? Molti l’hanno scoperta solo quando Madonna ha iniziato a degustare il suo rosato Calafuria, ma già in tempi non sospetti avevamo decantato le delizie dell’Aglianico Bocca di Lupo. In quest’occasione abbiamo apprezzato (di nuovo) la freschezza dello Chardonnay Pietrabianca e l’eleganza dell’annata 2016 del Primitivo Torcicoda, affinato per 10 mesi in barrique.

Le SaletteFumane (VR): Una delle più classiche aziende della Valpolicella. La perla è ovviamente l’eccezionale Amarone Pergole Vece, prodotto soltanto nelle migliori annate da uve selezionate, e affinato per ben tre anni in barrique: una bottiglia vale più di 60 euro. Da assaggiare però anche il Valpolicella Ca’ Carnocchio, elegante, raffinato e adatto anche all’invecchiamento.

Cascina I CarpiniPozzol Groppo (AL): Altra cantina di cui si è già detto tutto, ma le magie di Paolo Carlo Ghislandi non cesseranno mai di stupirci! Il Timorasso Brut Chiaror sul Masso ha ormai raggiunto la perfezione e quello affinato in anfora, ben prima che esplodesse la moda, ha assunto profumi e sapori inimmaginabili.

La Giannettola – Velletri (Roma): Cantina “rinata” nel 2017 ma con una storia decennale alle spalle, oggi presenta una buona varietà di vini, dalla Malvasia Puntinata allo Chardonnay. Grande successo stanno riscuotendo i rossi: il Roma DOC L’Ardente, caldo e fruttato, e il Cesanese Il Frangente, che al caratteristico sentore di ciliegia del vitigno aggiunge un’ottima acidità.

Occhipinti – Vittoria (RG): Esuberanti e di carattere, i vini biologici di quest’azienda siciliana sono destinati a stupire. Dolce e aromatico l’SP68 Bianco (blend di Moscato di Alessandria e Albanello), giovane e vivace l’SP68 Rosso (Frappato e Nero d’Avola), complesso e raffinato il Frappato in purezza.

Vigne Mastrodomenico – Barile (PZ): Un tempio all’Aglianico del Vulture nel suo territorio d’elezione. Al più giovane e fresco Mos si accompagna il potente e strutturato Likos, affinato in barrique per 8-10 mesi. La chicca è il passito Shekar, vino da dolci e da meditazione.

Tenuta L’Ariosa – Sassari: Il nome della cantina lo conoscono in pochi, ma basta citare i Fratelli Rau per riconoscere i più noti produttori di distillati dell’isola. I vini sono di diverse tipologie: i più famosi sono il Cannonau Assolo, il Cagnulari Sass’Antico e soprattutto l’eccellente Pedrastella, un Carignano sotto mentite spoglie (non può assumere la denominazione non essendo prodotto in Sulcis), morbido ed elegante.

Bodegas Castaño – Yecla (Spagna): Non lontano da Alicante sorge questa grande cantina che conta più di 600 ettari di terreno e diverse linee di vini. Il vitigno principale è il Monastrell: si distinguono l’Hécula in purezza, ottimo per il rapporto qualità-prezzo, e il Santa (con un 10% di Garnacha Tintorera) affinato in barrique. La cantina cerca distributori in Italia: fatevi avanti!

La TunellaPremariacco (UD): Altro nome che non ha bisogno di presentazioni. Tra i capisaldi dell’azienda la RJGialla, una Ribolla Gialla ai limiti della perfezione, e il Biancosesto, blend di Friulano e Ribolla Gialla al 50%, dallo straordinario profumo. Tra le bollicine stupisce Il Mille (Ribolla Gialla e Pinot Nero).

Celestino PecciMontalcino (SI): Azienda nata negli anni Sessanta e tra le più classiche del territorio. Il Rosso di Montalcino, affinato in barrique per 8 mesi, e il Brunello di Montalcino sono di grande struttura e personalità.

Giai – Carosino (TA): Approccio moderno e diversificato al Primitivo di Manduria per questa giovane azienda tarantina. Il prodotto di punta è il Lucré, un Primitivo elegante e leggero che contrasta con l’immagine “ruvida” del vino pugliese.

Alagna Vini – Marsala (TP): Nella sterminata produzione di questa cantina spicca ovviamente il Marsala nelle sue varie versioni, commercializzate anche con il marchio Angileri. Il Marsala Superiore Garibaldi Dolce è perfetto per intensità e pienezza del gusto.

Cantine Lizzano – Lizzano (TA), Cantine San Marzano – San Marzano di San Giuseppe (TA) e Vigne Monache – Manduria (TA): Le segnaliamo per tre diversissime tipologie di Primitivo. La prima produce il classico e robusto Manonera, affinato per 6 mesi in tonneau; la seconda l’austero e longevo Anniversario 62, in cui l’affinamento tocca i 18 mesi. Dalla terza, infine, viene il Primitivo dolce naturale 1920, un passito per nulla stucchevole ma anzi acido e beverino.

Marzadro – Nogaredo (TN): La notissima distilleria ha superato se stessa con la versione Riserva della sua grappa Le Diciotto Lune, affinata in botti utilizzate per il Porto. Una vera prelibatezza. Tra le altre novità c’è anche il gin Luz.

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