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Nello specchio del bicchiere

Politici e imprenditori, calciatori e pallavolisti, giornalisti e veline: c’erano proprio tutti quest’anno al Vinitaly, da Oscar Farinetti a Matteo Renzi passando per l’immancabile Luca Zaia, perché la kermesse veronese (tenutasi dal 6 al 9 aprile, ma l'anno prossimo si sposterà a marzo) è diventata uno di quegli eventi che non ci si può assolutamente permettere di saltare. Nonostante questo, si può però scommettere che nessuno di loro, per quanto imponente sia l’investimento economico o d’immagine - vedi Expo 2015, riuscirà a impadronirsi dell’evento e piegarlo al suo volere; per il semplice fatto che da molto tempo il Vinitaly ha varcato i confini nazionali e si è involato verso l’estero, individuando nelle esportazioni e nei mercati stranieri la vera sfida del presente e del futuro, ben prima che il presidente del Consiglio lanciasse uno dei suoi tanto amati proclami (+50% dell’export entro il 2020). L’edizione 2014 della rassegna veronese non fa che confermare questa tendenza ormai decisamente esplicita: le presenze professionali dall’estero sono salite da 53mila a 56mila, raggiungendo il 36% di un totale che a sua volta è cresciuto del 6%. Agli stranieri, per la prima volta, è stato dedicato un intero padiglione, Vininternational: e se la partecipazione a livello di produttori si è rivelata francamente abbastanza deludente, lo stesso non si può dire per la risposta dei visitatori, che hanno letteralmente preso d’assalto i pochi stand presenti e intasato le degustazioni guidate in programma (nota per il prossimo anno: migliorare il sistema di prenotazione online). Segno che ormai l’interesse e reciproco e va ben al di là della semplice curiosità.

In questo contesto di accentuata globalizzazione, è solo apparentemente paradossale la tendenza a produzioni vinicole sempre più originali (nel senso di attenzione alle origini), ortodosse, autarchiche, qualche volta persino talebane. Eloquente il caso dell’azienda toscana che espone con orgoglio l’avviso: “Autoctono. No barrique, no Cabernet, no Merlot, no Syrah”: come a dire che ciò che prima era motivo di vanto oggi sta diventando un marchio d’infamia. In altre parole, i produttori stanno meritoriamente scoprendo che l’unico modo per emergere in questo mercato eterogeneo e in continua espansione è quello di ritagliarsi una propria nicchia, riscoprendo produzioni locali e tradizioni perdute nel tempo, anche perché la stessa clientela comincia ad avere un atteggiamento molto più aperto a nuovi aromi e nuove sensibilità. Sta diventando quindi minoritaria rispetto al passato (e per fortuna) la tendenza ad assecondare gusti e palati degli altri, sostituita dall’orgoglio della propria specificità. Lo conferma l’esplosione di vini che solo recentemente hanno ricevuto un riconoscimento ufficiale, come il (o “la”?) sorprendente molisano Tintilia, caleidoscopico nelle sue mille declinazioni, o il Casavecchia che veniva prodotto già dai Borbone. Del resto può bastare il modello del Prosecco, oggi protagonista assoluto della rassegna tra degustazioni e articolati dibattiti: viene da sorridere a pensare che abbia ottenuto la sua DOC appena 5 anni fa…

La specializzazione non riguarda solo i vini in sé, ma anche le tecniche di produzione: un po’ sarà questione di moda, un po’ anche di crescente consapevolezza ambientale e nutrizionale, sta di fatto che quest’anno i vini biologici hanno ottenuto una hall a sé stante (VinitalyBio, appunto) con ben 70 espositori, e lo stesso vale per il Vivit, abbreviazione di Vigne Vignaioli Terroir, che esalta il legame dei produttori con la zona geografica di appartenenza.
Certo, a forza di elitarizzarsi e raffinarsi, il Vinitaly ha inevitabilmente perso un po’ di appeal verso quel grande pubblico che, piaccia o meno, in passato ne aveva fatto le fortune a livello di immagine. Tanto che qua e là cominciano a spuntare stand in cui gli assaggi sono riservati “ai soli operatori” (che dovrebbero essere in teoria gli unici ammessi alla fiera, ma ben sappiamo quanto questa formulazione sia distante dalla realtà). Né più né meno, è lo stesso percorso compiuto dall’oggetto della rassegna: il vino, che da bevanda popolare e scarsamente impegnativa sta completando la sua metamorfosi in prodotto d’élite. Non a caso scendono in picchiata i consumi, in cui l’Italia ha subito per la prima volta lo storico sorpasso della Spagna, mentre continuano a crescere i ricavi: non si può dunque dare la colpa all’onnipresente “crisi” né pensare a un fenomeno passeggero. Stiamo parlando di una vera e propria rivoluzione culturale, un mutamento radicale nelle abitudini e nella socialità di milioni di persone, del quale il festival veronese può, nella migliore delle ipotesi, soltanto prendere atto.

Concluse le riflessioni pseudo-filosofiche, dedichiamo come di consueto una breve rassegna alle cantine più significative che abbiamo incontrato nel nostro breve cammino. E per chi vuole saperne di più consigliamo di leggere, per esempio, il blog Dolcezze di Nonna Papera oppure, per un punto di vista più critico, Intravino.

Cantine Salvatore - Ururi (CB): Abbiamo parlato di Tintilia e qui siamo nel cuore pulsante della produzione di questo tipico vino molisano. Con Pasquale Salvatore la cantina è alla seconda generazione di viticoltori, e tra le sue etichette troviamo la Falanghina del Molise Nysias e i Molise Rosso Biberius e Don Donà; ma soprattutto il fantastico Rutilia, complesso e speziato al punto da sembrare affinato in barrique anche se alle spalle ha solo 18 mesi di acciaio. Non a caso, Gran Menzione alla rassegna veronese.

Chiusa Grande - Nocciano (PE): Franco D'Eusanio si definisce un "vinosofo" e si fa molto presto a capire perché: la sua creatività trova sfogo non soltanto nei vini (a tutt'oggi ce ne sono in commercio ben 26 varietà diverse!) ma anche nella grafica, nei componimenti poetici e persino negli abbinamenti musicali che accompagnano molti di essi. Nella sterminata produzione dell'azienda emergono due linee ben distinte: da una parte i vini senza solfiti come Natura Bianco (Malvasia e Trebbiano) e Natura Rosso (Montepulciano), impetuosi e "fuori controllo". Dall'altra gli artistici ed elaborati Trebbiano Perla Bianca e Montepulciano Perla Nera, affinati in barrique.

Ermes Pavese - Morgex (AO): I vitigni più alti d'Italia, quelli della Valle d'Aosta, continuano a regalare sorprese. Qui il vino è ovviamente il Blanc de Morgex et de la Salle, ma Ermes Pavese lo trasforma in tutte le sue possibili incarnazioni: insieme al bianco base e allo spumante metodo classico ci sono il Nathan, affinato in barrique al 70%, e il Sette Scalinate. Impossibile però non essere colpiti dal Ninive, vino da uve stramature raccolte in pieno inverno, dopo la gelata dei grappoli, quando la temperatura è tra i meno 8 e i meno 10 gradi: il risultato vale decisamente lo sforzo...

Vigne Chigi - Caserta: Fin dalle etichette, che raffigurano gli amati cani da caccia dei Borboni, una cantina tutta votata al recupero della tradizione della reggia casertana. Dove secoli addietro si coltivavano vitigni caratteristici come il Pallagrello Bianco, dal peculiare profumo floreale e fruttato, il Pallagrello Nero e il Casavecchia. Quest'ultimo è alla base sia dell'omonimo rosso, affinato 6 mesi in barrique, sia dell'irresistibile Cretaccio, 16 mesi in barrique, complesso e tannico ma con inusuali toni dolci.

Podere Volpaio - Vinci (FI): Dalla città di Leonardo una storica azienda toscana, attiva dal 1890, che oggi esibisce con orgoglio le sue certificazioni per la produzione di vini biologici. Il Chianti è naturalmente il fiore all'occhiello: accanto alla versione base ci sono la Selezione, invecchiata un anno in acciaio e sei mesi in bottiglia, e l'eccellente Riserva Terre de' Pari, un vino "importante" e intenso che viene da tre mesi di barrique. La vera perla è però il passito Dé Stoie da uve Malvasia, dall'accentuato e inconfondibile aroma di noce.

H.Blin - Vincelles (Francia): Non avrebbe bisogno di presentazioni questa celebre maison francese produttrice di champagne: basterebbero il Brut o la Réserve per restare incantanti, ma il meglio lo si sperimenta con il faraonico Blanc de Blancs dagli intensi aromi di fermentazione, quasi prossimi allo yogurt, e con lo splendido Rosé Edition Limitée.

Cianfagna - Acquaviva Collecroce (CB): Dal Molise con furore. Anche qui il "piatto forte" è la solita Tintilia, che con l'etichetta Sator, intensa e vellutata, ha ottenuto riconoscimenti di prestigio in Italia e all'estero. Da non sottovalutare però l'Aglianico Militum Christi, severo e poderoso come il nome fa immaginare, affinato in barrique.

Tenute Costa - Parma: Un marchio che realizza, per dirla con i fondatori, il "sogno" di riunire sotto la stessa etichetta i vini di tre regioni d'Italia: Alto Adige, Piemonte e Toscana. Noi abbiamo provato i vini provenienti dalla tenuta Terre di Fiori, in Maremma: davvero strepitoso il Morellino di Scansano, con la sua elevata acidità, anche nella variante Ventaio più complessa e strutturata. Tutti da scoprire il raro Monteregio di Massa Marittima e l'Acanto, elegante blend di Sangiovese e Cabernet Sauvignon.

Monzio Compagnoni - Adro (BS): Doppio cognome e doppia vocazione per questa grande azienda che si sviluppa da una parte in Valcalepio (da cui arrivano Valcalepio Rosso e Moscato di Scanzo) e dall'altra, la più interessante, in Franciacorta. Segnaliamo un interessante Extra Brut, il vellutato ed elegante Satèn e il Rosé, particolarmente profumato.

Tenute Delogu - Sassari: Nelle fertilissime terre della Nurra, tra Sassari e Alghero, questa cantina sta rapidamente conquistando spazio e notorietà, soprattutto grazie al suo splendido Vermentino Die. Anche gli altri due vini creati da Piero Delogu, il Cannonau Ego e l'Isola dei Nuraghi Geo, stanno però facendo incetta di riconoscimenti.


Brocani - Staffolo (AN): Una cantina a conduzione familiare che bada all'essenziale, concentrandosi essenzialmente su due vini locali: il morbido Esino Rosso Barbanera e, naturalmente, il Verdicchio di Jesi. Oltre alla versione base, fresca e gradevole, c'è l'eccellente selezione Lunatico, invecchiata almeno due anni, dal gusto elegante e fruttato.

Mandurino - Sava (TA): Le vigne sono in Puglia ma il mercato principale è in Svizzera, dove l'azienda ha ottenuto le sue certificazioni BioSuisse e BioVegan (non utilizza nessun prodotto di origine animale). Ora la cantina sta cercando di espandersi anche nel paese d'origine soprattutto con un eccellente Primitivo affinato per 6 mesi in barrique. Interessanti anche Fiano e Rosato del Salento.

Le Moire - Motta Santa Lucia (CS): Quantomeno estrosa la produzione di questa giovane cantina calabrese, fin dai nomi dei vini: basti citare l'ardito Shemale, un rosato di assai difficile categorizzazione! La cifra distintiva è comunque il recupero di vitigni locali, come il Magliocco Dolce che è alla base del rosso Annibale oppure Mantonico, Pecorello e Greco Bianco, che compongono l'interessante Zaleuco.

Colle Sereno - Petrella Tifernina (CB): Rispetto alle altre aziende molisane qui citate ha una produzione più eterogenea, che si spinge fino a Cabernet e Chardonnay. Inutile dire però che il principale motivo di interesse è sempre la Tintilia, in questo caso in una versione particolarmente fruttata e profumata.

San Cristoforo - Erbusco (BS): Bollicine pure e semplici, inevitabilmente visto che siamo nel cuore della Franciacorta. Il marchio è antico, ma l'azienda è stata rifondata negli anni Novanta dalla famiglia Dotti. Particolarmente esuberante il Brut, più strutturato e morbido ilMillesimato, ma la vera sorpresa è un Rosé acidulo e non banale.

World of Flavours - Ornago (MB): Non è una cantina ma uno dei principali importatori di vino e altri prodotti dal Sudamerica, in particolare dall'Argentina. Tra questi segnaliamo il notissimo Malbec dell'azienda Tempus Alba di Mendoza, ma anche i raffinati bianchi della patagonia prodotti dalla Familia Schroeder.

Capitan Drake - Como: Altro importatore di bottiglie di pregio, questa volta specializzato nei vini della Nuova Zelanda e in particolare del distretto Central Otago. Ci sentiamo di consigliare il Sauvignon Blanc delle cantine Urlar, dall'inconsueto retrogusto di frutta tropicale, e quello delle cantine Ohau Gravels, che invece sfodera un caratteristico aroma di peperone.

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