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Festival LatinoAmericando

Ogni anno l'area circostante il Forum di Assago si trasforma per due mesi nel tempio della musica latina, ma anche della cucina sudamericana: ecco un test più o meno riuscito da parte delle Locuste (30 giugno 2008)


Nella nebbia (artificiale) del ristorante venezuelano


Riso, carne e fagioli: è Sudamerica!


Costate con ricco condimento


Grigliata e sangria per le Locuste


Il "mitico" Julinho con la sua caipirinha
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Foto dalle Langhe

Tra cantine e ristoranti, alla scoperta delle specialità piemontesi più genuine (29 giugno 2008).
Vedi anche la recensione della Trattoria nelle Vigne


Il Consigliere degusta vini su vini


Botti piene all'azienda agricola Marrone


Le storiche cantine dei Marchesi di Barolo


Qui nasce il Barolo più antico d'Italia


Ecco i Marchesi in persona...


Il Museo del Cavatappi a Barolo


Paesaggio collinare con cadavere
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Sant'Antoni dul Purscell

Il marketing può davvero tutto, anche in campo culinario. Chi avesse ancora dei dubbi in merito può riflettere su zone, alimenti e pietanze completamente trascurati dalla storia dell'enogastromia, semplicemente per la (colpevole) mancanza di una politica di valorizzazione, sia pur minima, del territorio e dei suoi prodotti.
L'esempio dell'Altomilanese - area di difficile definizione che va dal magentino al varesotto - in questo senso è paradigmatico: in quest'area la cucina e l'alimentazione locale sono state per anni trascurate fino alla cancellazione e all'oblio (solo recentemente fulgidi esempi come quello di Davide Oldani con il suo D'O hanno invertito la tendenza).
Non vogliamo certo affermare che Busto Arsizio o Settimo Milanese, tanto per fare due nomi, trabocchino di chissà quali tesori gastronomici: è evidente però che alcuni piatti e preparazioni del luogo, totalmente ignorati dalla critica "ufficiale", meriterebbero invece ben altra attenzione. Ci sta provando meritevolmente Angelo Grampa, grande interprete del folclore bustocco che, negli anni, ha pubblicato appetitosi trattati sulle specialità locali come i bruscitti e la rustisciana. Questa volta, in onore degli amici del "Magistero dei Bruscitti", Grampa si cimenta con un piatto ben più diffuso in tutto il milanese ma anche paradossalmente poco conosciuto: la cassoeula o, come la definisce l'autore con una tipica italianizzazione, cazzuola.
Chi la conosce solo superficialmente ne fa - a sproposito - un esempio di pesantezza e indigeribilità, ma non va dimenticato che si tratta pur sempre di un piatto contadino, certamente sostanzioso e adatto alla stagione invernale eppure lontanissimo dalla ricchezza elaborata delle pietanze da re. In realtà la "cazzuola", semplice ma preparata secondo regole rigidissime, merita di essere riscoperta nella sua vera essenza.

Grampa lo fa con il suo consueto stile apparentemente disordinato, cogliendo riferimenti da una parte e dall'altra e unendo, con un collegamento simpaticamente blasfemo, il piatto al Santo della ricorrenza in cui lo si gustava: Sant'Antonio, ovvero Sant'Antoni dul Purscèll, come veniva popolarmente chiamato. Non mancano le ricette alternative, le dissertazioni storico-filologiche e quelle puramente nutrizionali ("Ma le verze, al fine, sono indigeste?") in questo che, più che un trattatello, è un ennesimo atto d'amore nei confronti della cucina locale e della memoria da preservare.
Un libro sfizioso e interessante che si inserisce in una serie ben "nutrita" di volumi dedicati alle specialità della zona: ricordiamo per esempio "Polenta e bruscitti" di Macchione Editore e l'ormai classico "Cucina bustocca" di Carlo Azimonti, oltre ovviamente alle pubblicazioni dello stesso Magistero dei Bruscitti. Segno che qualcosa, almeno a livello editoriale, si sta muovendo...
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Foto da Vinum 2008

Puntatina nelle Langhe per la nuova edizione di Vinum (25 aprile 2008) ad Alba. Più materiale nella recensione dell'Enoteca Caffè Roma


Il castello di Costigliole d'Asti


Il Navigatore in piena attività


Nel centro di Alba
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Chi ha paura del vino buono?

La parola "troppo" non esiste nel vocabolario delle Locuste. Eppure di fronte alla sempre più magniloquente esibizione di abbondanza del Vinitaly (che nell'edizione 2008 è andato in scena dal 3 al 7 aprile a Verona) inevitabilmente balza alla mente: troppi vini, troppe cantine, troppe varietà, troppe etichette, troppi visitatori e troppi espositori, troppo poco tempo per farsi un'idea anche soltanto vaga di cosa sia l'enologia italiana. Impressione influenzata, indubbiamente, anche dal clamore mediatico suscitato dall'evento, che per la prima volta dopo tanti anni dice proprio questo: c'è troppo vino in Italia. Vino di qualità alta (salvo casi eccezionali di contaminazione), talmente alta da restare invenduto, talmente alta e dispendiosa che persino all'estero - nonostante la massiccia presenza di importatori alla fiera veronese - si sta cominciando a ripensarci.
Certo, se non si disponesse di queste informazioni di base, si faticherebbe a giudicare quello del vino un settore in crisi, di fronte all'incredibile spiegamento di forze del Vinitaly, agli stand attrezzati e invitanti come non mai, alle sempre più raffinate e sofisticate (nel senso buono) sperimentazioni enologiche.

Invece dopo la sbornia di Verona (non solo metaforica) qualche conclusione bisogna pur trarla, e si finisce per pensare che quello del vino è un patrimonio inestimabile per tutto il paese, ma che controllo e regolamentazione sono assolutamente indispensabili se non si vuole che vada sprecato; se non si vuole che alcune regioni, che solo adesso si stanno attrezzando in modo valido e competitivo per imporsi all'attenzione globale, trovino il mercato chiuso perché ormai saturato da un'offerta debordante.
Questo si pensa dopo, ed è inevitabile. "Durante" la fiera, invece, non si può che godere infinitamente di un'esperienza sensoriale irripetibile e appagante al massimo grado. Certo, il ritmo infernale delle degustazioni e degli assaggi rischia di sovrapporre le impressioni e rendere la visuale meno lucida; ma certi sapori, bisogna dirlo, non si dimenticano.
Impossibile descrivere, anche solo sommariamente, la ricchezza dell'offerta di Vinitaly. L'unico modo per visitare la fiera (soprattutto se si ha un solo giorno a disposizione) è affidarsi all'istinto e al "fiuto", vagando tra un padiglione e l'altro e cercando di individuare i vitigni più pregiati o semplicemente gli stand più accattivanti. Ma anche così, senza un percorso guidato né tantomeno predefinito, le belle sorprese sono assicurate: anzi, il piacere della scoperta di un Amarone poco noto o di un genuino Falerno può superare a volte l'assaggio di bottiglie di primissima fascia. E senza dubbio dieci minuti di conversazione con i piccoli produttori risultano più appaganti, anche per i profani, della degustazione "volante" di un'etichetta famosa.
Detto questo, rinunciamo definitivamente a una cronaca organica della giornata e vi proponiamo una semplice, del tutto arbitraria selezione dei gusti che ci hanno maggiormente sollazzato.
Prosit!

Corte Rugolin - Marano Valpolicella (VR) : L'Amarone Crosàra de le Strìe, affinato per 18 mesi in barrique e altri 6 in bottiglia, è decisamente uno dei migliori vini assaggiati nel corso della nostra visita. Eccellente anche l'Amarone Classico.

Pasetti - Francavilla (CH): I migliori vini abruzzesi sono qui, dalla rivelazione Pecorino (un bianco fresco e dal sapore intenso) allo Zaraché (Trebbiano di potenza inconsueta). Il vero asso nella manica è l'Harimann, Montepulciano invecchiato in botte per 24 mesi.

Roccavorte - Sorso (SS): Piccola azienda delle colline di Tres Montes che produce il Muscadellu, atipico moscato fresco, per nulla stucchevole e con una piacevole nota di acidità.

Cantina Toblino - Sarche (TN): Con l'annessa Hosteria Toblino questa cantina è una tappa obbligata per chi visita il Trentino. Tra i suoi vini il Pinot Grigio non è il migliore ma certamente il più originale, grazie al suo colore ramato.

Colli Cerentino - Melfi (PZ): Il Masquito è un Aglianico barricato per 24 mesi e affinato in bottiglia per 12, dal gusto dolce e complesso e dall'eccezionale consistenza.

Le Macchiole - Bolgheri (LI): Un Syrah dal gusto inconfondibile, intenso e persistente, sicuramente una delle migliori bottiglie provate.

Cantina Sociale di Solopaca - Solopaca (BN): L'onesto Solopaca Rosso Superiore si fa rispettare, ma è con l'eccellente Carrese, invecchiato in barrique, che si fa la differenza...

Fattoria La Torre - San Gimignano (SI): Un Chianti non poteva mancare in questa breve rassegna. Il Chianti Colli Senesi Riserva, reduce da tre anni di invecchiamento, ha un impatto potente anche se non è particolarmente profumato.

Tramontana - Gallico Marina (RC): Il Rosso Calabrese, anche noto come Nerello, è un vitigno poco conosciuto che però merita un assaggio, almeno a giudicare da questo 1890 (vino che prende nome dall'anno di fondazione dell'azienda).

Cav.Emiro Bortolusso - Carlino (UD): Nella ricchissima produzione di quest'azienda udinese, spicca un Verduzzo Friulano fresco e bevibile.

Casa Vinicola Casetta - Vezza d'Alba (CN): I vini più tipici delle Langhe e del Roero ci sono tutti, senza particolari picchi ma con un Barolo e un Barbaresco su livelli decisamente più che buoni.

Masseria Felicia - Carano di Sessa Aurunca (CE): Che si senta il sapore delle ceneri laviche su cui la vite è coltivata? In realtà non sapremmo dirlo, fatto sta che il Falerno del Massico ha un gusto tutto suo, non adatto a tutti ma decisamente originale.

Cantine Due Palme - Cellino San Marco (BR): Già omaggiata con il Premio Speciale Vinitaly nel 2007, questa cooperativa pugliese produce tra l'altro l'ottimo Negroamaro Canonico e il robusto Primitivo.

Josto Puddu - San Vero Milis (OR): Non ci sarebbe bisogno di presentazioni per questa cantina da cui esce la Vernaccia di Oristano, forse la più pregiata dell'intera Sardegna. Abbiamo assaggiato anche la più leggera ma non meno aromatica Vernaccia della Valle del Tirso.

Marolo - Alba (CN): Non produce vini ma merita indubbiamente di essere citata per i suoi straordinari distillati: la Grappa di Barolo (la migliore è forse quella invecchiata 12 anni), la profumatissima Grappa di Gewürztraminer e l'originale Marolo Chinato.

Rifugio Crucolo - Scurelle (TN): Anche qui niente vino, ma un invitante ristorante e soprattutto un liquore prodotto in proprio, l'ormai famoso Parampampoli: grappa, vino, caffè, zucchero, miele e aromi per un digestivo senza confronti.

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