Opinione scritta da Locuste
| 1235 risultati - visualizzati 411 - 420 | « 1 ... 39 40 41 42 43 44 ... 45 124 » | Resultati per pagina: |
Negozi
2013-04-21 23:11:23
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 21 Aprile, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Aprile 09, 2013
Recensione
Cantina modenese specializzata nella più celebre DOC della zona, il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro: circa 50.000 le bottiglie prodotte ogni anno.
Trovi utile questa opinione?
00
Ristoranti
2013-04-12 13:49:13
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Recensione
Data di visita
Aprile 05, 2013
Recensione
Se le mele non rientrano nelle vostre preferenze alimentari, tenetevi ben lontani da questo locale dell’estrema periferia di Milano, dove a farla da padrone non è soltanto il sidro annunciato dall’insegna, ma il frutto in generale, protagonista delle più svariate preparazioni. L’indiscutibile successo della Sidreria, nata pochi anni orsono in un luogo che fin dall’epoca medioevale ospitava taverne e osterie, si lega a diversi fattori: senza dubbio l’originalità della cucina, che risente senza dogmatismi di qualche influenza vegetariana, ma anche una politica dei prezzi che strizza l’occhio alla clientela più popolare e una posizione sì marginale, ma anche adiacente all’autostrada e a molti frequentati locali notturni. Purtroppo la qualità dei piatti non è sempre all’altezza della buona volontà dei gestori e, soprattutto nelle serate di maggior affluenza, si rischia che la formula “all you can eat” proposta dalla casa diventi soltanto una buona intenzione. Sostanzialmente, dunque, una mezza delusione, anche se sono più che evidenti l’impegno e la buona fede alla base dell’operazione.
Una cosa che sicuramente non rischia mai di mancare a tavola è il sidro: per soli 25 euro (che diventano addirittura 20 dal martedì al giovedì) si ha diritto, oltre alla cena, a rifornirsi illimitatamente della tipica bevanda celtica un tempo diffusissima anche dalle nostre parti, servita in bottiglia o spillata direttamente dalla botte. Il sidro è, insieme all’acqua e a pochi liquori, l’unica bevanda disponibile: su richiesta sono disponibili anche le bottiglie di diverse marche.
Il menu, invece, varia di mese in mese e viene selezionato anche in base ai pareri degli utenti su Facebook. Quello da noi provato si apriva con una fresca ed essenziale insalata di mele e germogli, seguita da polpettine al rosmarino (piuttosto anonime), da uno strudel con zola e noci e dall’invitante frico con mele, ben presto sostituito però da una più banale scamorza. Tra i primi, decisamente meglio il risotto ai mirtilli e formaggio di capra (anche se il sapore penetrante di quest’ultimo si impone nettamente sul resto) rispetto ai troppo asciutti gnocchi con crema ai fiordalisi, dominati dall’aroma dello zafferano. Teoricamente, come detto, di ogni piatto è possibile ordinare un “bis” senza costi aggiuntivi.
Arrivati al secondo, il ristorante si distacca un po’ dalla formula “verde” per proporre un piatto di costine di maiale al balsamico di mela, non perfettamente riuscite però in quanto a cottura e, inoltre, decisamente scarne sul piano della quantità. Tris di dolci per chiudere: crema catalana, torta di pane con mele e more (la migliore) e biscotti al mascarpone e Calvados. Qualche piatto dal mese precedente per rendere l’idea: polpette di semola, mele e grappa, torta salata di fagiolini con balsamico di mele, risotto con toma e salvia viola, petto di pollo con mele fritte…
Il ristorante propone anche un ricco programma di eventi e serate a tema, fra cui le “cene con delitto” di gran moda negli ultimi anni, cene regionali o internazionali (Spagna, Francia, Germania e persino Tibet) e anche iniziative di ispirazione letteraria come “I piatti preferiti dal commissario Montalbano”, legata ai libri di Andrea Camilleri.
Una cosa che sicuramente non rischia mai di mancare a tavola è il sidro: per soli 25 euro (che diventano addirittura 20 dal martedì al giovedì) si ha diritto, oltre alla cena, a rifornirsi illimitatamente della tipica bevanda celtica un tempo diffusissima anche dalle nostre parti, servita in bottiglia o spillata direttamente dalla botte. Il sidro è, insieme all’acqua e a pochi liquori, l’unica bevanda disponibile: su richiesta sono disponibili anche le bottiglie di diverse marche.
Il menu, invece, varia di mese in mese e viene selezionato anche in base ai pareri degli utenti su Facebook. Quello da noi provato si apriva con una fresca ed essenziale insalata di mele e germogli, seguita da polpettine al rosmarino (piuttosto anonime), da uno strudel con zola e noci e dall’invitante frico con mele, ben presto sostituito però da una più banale scamorza. Tra i primi, decisamente meglio il risotto ai mirtilli e formaggio di capra (anche se il sapore penetrante di quest’ultimo si impone nettamente sul resto) rispetto ai troppo asciutti gnocchi con crema ai fiordalisi, dominati dall’aroma dello zafferano. Teoricamente, come detto, di ogni piatto è possibile ordinare un “bis” senza costi aggiuntivi.
Arrivati al secondo, il ristorante si distacca un po’ dalla formula “verde” per proporre un piatto di costine di maiale al balsamico di mela, non perfettamente riuscite però in quanto a cottura e, inoltre, decisamente scarne sul piano della quantità. Tris di dolci per chiudere: crema catalana, torta di pane con mele e more (la migliore) e biscotti al mascarpone e Calvados. Qualche piatto dal mese precedente per rendere l’idea: polpette di semola, mele e grappa, torta salata di fagiolini con balsamico di mele, risotto con toma e salvia viola, petto di pollo con mele fritte…
Il ristorante propone anche un ricco programma di eventi e serate a tema, fra cui le “cene con delitto” di gran moda negli ultimi anni, cene regionali o internazionali (Spagna, Francia, Germania e persino Tibet) e anche iniziative di ispirazione letteraria come “I piatti preferiti dal commissario Montalbano”, legata ai libri di Andrea Camilleri.
Trovi utile questa opinione?
00
Ristoranti
2013-04-04 08:53:48
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 04 Aprile, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Marzo 29, 2013
Recensione
Una vecchia osteria che, col tempo, ha saputo diventare qualcosa di più senza mai snaturare la sua filosofia: se si cerca un modello per unire innovazione e tradizione, forse il posto giusto dove trovarlo è proprio il locale gestito da Manolo ed Elisabetta (Liz), eredi di una famiglia che cura l'Osteria del Campanile fin dal 1972. Il contesto è il più tipico che si possa immaginare: il classico bar-trattoria di paese, a un passo dalla piazza centrale di Torrazza Coste, minuscolo borgo dell'Oltrepò che non raggiunge i 2000 abitanti. Un "piccolo mondo antico" destinato a rimanere sempre uguale a se stesso, e invece i titolari hanno saputo farlo crescere con intelligenza, coniugando i sapori della tradizione (e gli ingredienti dei produttori locali) con qualche salutare tocco di fantasia. L'aspetto da sottolineare è soprattutto la cantina, fornita e curata con le migliori bottiglie della zona: non solo vini ma anche qualche birra artigianale, ricercata e di qualità, e numerosi liquori e grappe. Servizio inappuntabile per precisione e cortesia, prezzi onesti (primi 8 euro, secondi 12-16).
Il menu si apre con una serie di antipasti che espongono alla perfezione il concetto base del locale: da una parte i classicissimi salumi dell'Oltrepò (imperdibile il salame, ovviamente), la tartare di fassona, il crostone con toma e radicchio, dall'altra qualcosa di meno convenzionale come lo sformatino ai due cavoli con fonduta di carote o, in stagione, lo sperimentale "assaggio d'inverno", un mix di finocchi, arance, valeriana e farina di pistacchi con semi di sesamo. La dicotomia si ripropone nei primi: quasi un escalation dai seminali ravioli della tradizione agli gnocchi di noci con battuto di noci e rosmarino, passando per i troccoli di amatrice fino ad arrivare agli impensabili (in questo habitat) tagliolini al cacao ai due spada. In mezzo, le interessanti lasagne ai carciofi e Casanova, denominazione che include anche il pecorino a scaglie; piatto in verità un po' da perfezionare perché l'abbinamento rischia di soffocare il sapore delicato della verdura.
I secondi non sfuggono allo scoperto "gioco" dei contrasti: lo stracotto tradizionale fa da contraltare al più ambizioso tournedos di filetto di manzo con crema di sedano e zola, o ai calamari ripieni su vellutata di piselli. Ottimo il plateau di formaggi con miele e composte, interessante anche il filetto di maiale e mele, ma da migliorare la cottura. Dolci sulla carta più ordinari, anche se il tiramisù della casa è una versione rielaborata e la torta alle mele della Val Schizzola (a pochi chilometri dal ristorante) una piccola chicca; in alternativa, meringata e bonet. Un capitolo a parte, come già detto, lo meritano i vini, tra cui citiamo a titolo di esempio i due Pinot Nero "Brugherio" del Marchese Adorno e "Costa del Nero" del Conte Vistarino, vinificato in parte in legno. Diverse le birre disponibili: artigianali, come quelle del Birrificio del Borgo, e non (vedi l'interessante Menabrea Top Restaurant). Ottime le grappe, tra cui si segnalano quelle di Nebbiolo, e piccola scelta anche di amari locali.
Il menu si apre con una serie di antipasti che espongono alla perfezione il concetto base del locale: da una parte i classicissimi salumi dell'Oltrepò (imperdibile il salame, ovviamente), la tartare di fassona, il crostone con toma e radicchio, dall'altra qualcosa di meno convenzionale come lo sformatino ai due cavoli con fonduta di carote o, in stagione, lo sperimentale "assaggio d'inverno", un mix di finocchi, arance, valeriana e farina di pistacchi con semi di sesamo. La dicotomia si ripropone nei primi: quasi un escalation dai seminali ravioli della tradizione agli gnocchi di noci con battuto di noci e rosmarino, passando per i troccoli di amatrice fino ad arrivare agli impensabili (in questo habitat) tagliolini al cacao ai due spada. In mezzo, le interessanti lasagne ai carciofi e Casanova, denominazione che include anche il pecorino a scaglie; piatto in verità un po' da perfezionare perché l'abbinamento rischia di soffocare il sapore delicato della verdura.
I secondi non sfuggono allo scoperto "gioco" dei contrasti: lo stracotto tradizionale fa da contraltare al più ambizioso tournedos di filetto di manzo con crema di sedano e zola, o ai calamari ripieni su vellutata di piselli. Ottimo il plateau di formaggi con miele e composte, interessante anche il filetto di maiale e mele, ma da migliorare la cottura. Dolci sulla carta più ordinari, anche se il tiramisù della casa è una versione rielaborata e la torta alle mele della Val Schizzola (a pochi chilometri dal ristorante) una piccola chicca; in alternativa, meringata e bonet. Un capitolo a parte, come già detto, lo meritano i vini, tra cui citiamo a titolo di esempio i due Pinot Nero "Brugherio" del Marchese Adorno e "Costa del Nero" del Conte Vistarino, vinificato in parte in legno. Diverse le birre disponibili: artigianali, come quelle del Birrificio del Borgo, e non (vedi l'interessante Menabrea Top Restaurant). Ottime le grappe, tra cui si segnalano quelle di Nebbiolo, e piccola scelta anche di amari locali.
Trovi utile questa opinione?
00
Ristoranti
2013-03-24 23:42:02
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 24 Marzo, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Marzo 10, 2013
Recensione
Certe volte dei luoghi comuni bisogna fidarsi. Se ci si trova a Istanbul non si può fare a meno di mangiare kebab, e qui siamo di fronte al "miglior kebab della città", per riportare le parole degli indigeni. Sarà vero? La buona impressione è confortata non tanto dalle foto di quelle che supponiamo essere celebrità turche, che tappezzano le pareti dei tre piani di questo scenografico locale, quanto dal grande braciere che accoglie la clientela all'ingresso, primo indizio di una cucina spartana e genuina. L'arredamento e la location, a due passi dalla frequentatissima arteria pedonale Istiklal, completano il quadro di un punto di riferimento per la ristorazione della capitale: indispensabile prenotare, soprattutto nel fine settimana. Anche perché qui i ritmi di servizio sono molto compassati e l'idea del "doppio turno" non è nemmeno contemplata...
L'avvertenza iniziale è d'obbligo: non avvicinatevi nemmeno al locale se non state cercando carne alla brace. L'unica alternativa concessa dal menu sono gli antipasti, che possono essere selezionati direttamente da un ampio vassoio di portata e sono quasi tutti a base di verdure: fagioli, purè di zucca, insalate con pomodori e cetrioli, melanzane, peperoni, ma anche cacik (la versione locale dello tzatziki greco) e formaggio di pecora spalmabile sull'ottimo pane (pita o tradizionale). I prezzi sono nel complesso decisamente abbordabili, con l'eccezione delle bevande alcoliche che hanno costi sproporzionati rispetto al resto della città (7 lire turche per una birra da 33 cl) anche se comunque bassi per le abitudini nostrane. L'acqua, in compenso, è compresa nel prezzo e i bicchieri vengono costantemente riempiti.
Veniamo dunque al piatto forte, il kebab o kebap vero e proprio: come si sa, la parola indica semplicemente la carne arrostita, mentre la variante più comune dalle nostre parti (quella sullo spiedo girevole) è denominata doner kebab. Di conseguenza nella lista si trova un po' di tutto: carne di agnello, di manzo o di pollo, sotto forma di polpette, spiedini o salsicce. Da provare i cop sis (bocconcini di agnello), l'urfa kebab (spiedini di carne di agnello), l'immancabile patlicanli kebab (con melanzane grigliate) o, per chi ha meno pazienza, il piatto di kebab misto. In tutti i casi, come spiega diligentemente il personale, il modo migliore per consumarlo è avvolgerlo nelle sfoglie di pita insieme ai relativi condimenti. Qualità della carne e della cottura sono di primo livello e assicurano la soddisfazione; non si può dire lo stesso per i dolci, sia per la scelta limitata - il che è un assurdo in una città come Istanbul, votata alla pasticceria d'altissima scuola - sia per la natura dei piatti. In particolare desta perplessità il dessert più gettonato, una sorta di dolcissima mela cotogna servita con abbondante burro... Non per tutti i palati, diciamo così.
L'avvertenza iniziale è d'obbligo: non avvicinatevi nemmeno al locale se non state cercando carne alla brace. L'unica alternativa concessa dal menu sono gli antipasti, che possono essere selezionati direttamente da un ampio vassoio di portata e sono quasi tutti a base di verdure: fagioli, purè di zucca, insalate con pomodori e cetrioli, melanzane, peperoni, ma anche cacik (la versione locale dello tzatziki greco) e formaggio di pecora spalmabile sull'ottimo pane (pita o tradizionale). I prezzi sono nel complesso decisamente abbordabili, con l'eccezione delle bevande alcoliche che hanno costi sproporzionati rispetto al resto della città (7 lire turche per una birra da 33 cl) anche se comunque bassi per le abitudini nostrane. L'acqua, in compenso, è compresa nel prezzo e i bicchieri vengono costantemente riempiti.
Veniamo dunque al piatto forte, il kebab o kebap vero e proprio: come si sa, la parola indica semplicemente la carne arrostita, mentre la variante più comune dalle nostre parti (quella sullo spiedo girevole) è denominata doner kebab. Di conseguenza nella lista si trova un po' di tutto: carne di agnello, di manzo o di pollo, sotto forma di polpette, spiedini o salsicce. Da provare i cop sis (bocconcini di agnello), l'urfa kebab (spiedini di carne di agnello), l'immancabile patlicanli kebab (con melanzane grigliate) o, per chi ha meno pazienza, il piatto di kebab misto. In tutti i casi, come spiega diligentemente il personale, il modo migliore per consumarlo è avvolgerlo nelle sfoglie di pita insieme ai relativi condimenti. Qualità della carne e della cottura sono di primo livello e assicurano la soddisfazione; non si può dire lo stesso per i dolci, sia per la scelta limitata - il che è un assurdo in una città come Istanbul, votata alla pasticceria d'altissima scuola - sia per la natura dei piatti. In particolare desta perplessità il dessert più gettonato, una sorta di dolcissima mela cotogna servita con abbondante burro... Non per tutti i palati, diciamo così.
Trovi utile questa opinione?
00
Ristoranti
2013-03-19 10:16:53
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 19 Marzo, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Marzo 08, 2013
Recensione
Davvero una piacevole sorpresa questo ristorante nel pieno della zona monumentale di Istanbul: ci troviamo nel quartiere di Sirkeci, a due passi dal Topkapi e dalla Moschea Blu, e tutto lascia pensare al proliferare di “trappole per turisti” costose e approssimative, che in effetti abbondano nelle vicinanze. Per di più, il Pasazade è il ristorante di un albergo (o meglio, appartiene a una piccola catena alberghiera), categoria notoriamente a rischio-standardizzazione. Invece, niente di tutto questo: la proposta gastronomica è davvero interessante, ricalcata sulla cucina ottomana tradizionale ma con piacevoli varianti creative, abbordabile per qualsiasi palato ma senza rinunciare al tocco profumato e speziato che caratterizza il punto di passaggio tra due continenti. Il ristorante è diviso in due locali, uno con piccoli tavoli fino a 4 persone, l’altro per gruppi più numerosi: entrambe le sale sono sobrie, silenziose e modernamente arredate, in netto contrasto con le chiassose vetrine circostanti. Il resto lo fanno il servizio, cortese e puntuale (con l’immancabile nota di umorismo turco…) e i prezzi decisamente generosi, non superiori alle 50 lire turche – poco più di 20 euro – per un pasto completo.
Tra le altre caratteristiche atipiche, il Pasazade può contare anche su un’ampia varietà di piatti vegetariani, contrassegnati – per gli amanti del genere – da un apposito simbolo sul menu, e su richiesta anche di pietanze senza glutine. Diverse le alternative per quanto riguarda gli antipasti, alcuni dei quali sono in realtà veri e propri primi piatti: si segnalano soprattutto i manti, sorta di piccoli ravioli (è facile assistere alla preparazione, che in molti ristoranti del centro avviene direttamente in vetrina!) ripieni di carne di manzo e agnello e conditi con burro e salsa di pomodoro. Delicati e abbondanti, da provare. Tra le altre proposte il dolma (foglie di vite ripiene di carne e yogurt), l’arap tava (carne con spezie, peperoni e humus), il cacik, sostanzialmente la versione turca dello tzatziki greco, e una selezione di formaggi di pecora. Non mancano le insalate, prevalentemente a base di pomodori e cetrioli, e le zuppe di carne o vegetariane. È anche possibile optare per una selezione di 6 antipasti vegetariani al prezzo di 17 lire turche.
I piatti forti sono incentrati sulla carne, bovina, ovina o suina che sia: consigliatissimo l’hunkar begendi o Sultan’s Favorite, uno stufato di manzo preparato con spezie varie (cardamomo, timo, rosmarino) e servito con albicocche secche, mele, mandorle e una salsa affumicata a base di melanzane. Da leccarsi i baffi. Ottimi anche i Sultan’s chicken rolls, cosce di pollo ripiene di spinaci, pistacchio e formaggio; il classico kebab è qui servito sotto forma di polpette con yogurt e pita. Per variare un po’ c’è anche qualche piatto a base di pesce.
La vera sorpresa è comunque il vino: vasto l’assortimento di bottiglie internazionali, ma anche turche, a prezzi più che onesti – a differenza di quanto avviene altrove – e di qualità inaspettatamente elevata. L’Anfora delle cantine Pamukkale Wine, blend dei due vitigni locali Okuzgozu e Bogazkere, è un degno rappresentante di questa categoria.
Com’è ovvio, nel paese dei dolci, da non perdere i dessert: il muhallebi burmasi, sorta di pudding a base di latte ricoperto di cioccolato e pistacchio, dalla consistenza quasi collosa ma dal sapore celestiale. Oppure l’immancabile baklava, la sfoglia a più strati con miele e noci, accompagnata dal gelato. Si chiude con un bicchierino di tè da ustioni di terzo grado e le dolcissime gelatine offerte dalla casa.
Tra le altre caratteristiche atipiche, il Pasazade può contare anche su un’ampia varietà di piatti vegetariani, contrassegnati – per gli amanti del genere – da un apposito simbolo sul menu, e su richiesta anche di pietanze senza glutine. Diverse le alternative per quanto riguarda gli antipasti, alcuni dei quali sono in realtà veri e propri primi piatti: si segnalano soprattutto i manti, sorta di piccoli ravioli (è facile assistere alla preparazione, che in molti ristoranti del centro avviene direttamente in vetrina!) ripieni di carne di manzo e agnello e conditi con burro e salsa di pomodoro. Delicati e abbondanti, da provare. Tra le altre proposte il dolma (foglie di vite ripiene di carne e yogurt), l’arap tava (carne con spezie, peperoni e humus), il cacik, sostanzialmente la versione turca dello tzatziki greco, e una selezione di formaggi di pecora. Non mancano le insalate, prevalentemente a base di pomodori e cetrioli, e le zuppe di carne o vegetariane. È anche possibile optare per una selezione di 6 antipasti vegetariani al prezzo di 17 lire turche.
I piatti forti sono incentrati sulla carne, bovina, ovina o suina che sia: consigliatissimo l’hunkar begendi o Sultan’s Favorite, uno stufato di manzo preparato con spezie varie (cardamomo, timo, rosmarino) e servito con albicocche secche, mele, mandorle e una salsa affumicata a base di melanzane. Da leccarsi i baffi. Ottimi anche i Sultan’s chicken rolls, cosce di pollo ripiene di spinaci, pistacchio e formaggio; il classico kebab è qui servito sotto forma di polpette con yogurt e pita. Per variare un po’ c’è anche qualche piatto a base di pesce.
La vera sorpresa è comunque il vino: vasto l’assortimento di bottiglie internazionali, ma anche turche, a prezzi più che onesti – a differenza di quanto avviene altrove – e di qualità inaspettatamente elevata. L’Anfora delle cantine Pamukkale Wine, blend dei due vitigni locali Okuzgozu e Bogazkere, è un degno rappresentante di questa categoria.
Com’è ovvio, nel paese dei dolci, da non perdere i dessert: il muhallebi burmasi, sorta di pudding a base di latte ricoperto di cioccolato e pistacchio, dalla consistenza quasi collosa ma dal sapore celestiale. Oppure l’immancabile baklava, la sfoglia a più strati con miele e noci, accompagnata dal gelato. Si chiude con un bicchierino di tè da ustioni di terzo grado e le dolcissime gelatine offerte dalla casa.
Trovi utile questa opinione?
00
Negozi
2013-02-26 15:39:10
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 26 Febbraio, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Febbraio 11, 2013
Recensione
Piccola azienda agricola della Valpolicella specializzata nei vitigni locali: Ripasso, Amarone, Recioto.
Trovi utile questa opinione?
00
Ristoranti
2013-02-19 23:44:24
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 19 Febbraio, 2013
Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 2013
#1 recensione -
Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 2013
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Febbraio 16, 2013
Recensione
Ancora nel 2008, quando recensivamo locali come il Mongolian Barbecue, "all you can eat" era una formula esotica per solleticare i clienti più golosi o più eccentrici; oggi di fatto non esiste ristorante giapponese (o presunto tale) che non adotti il menu a prezzo fisso e portate illimitate, con tutte le incognite e i rischi del caso. I rischi non sono certo per il ristorante, che anche nell'eventualità peggiore (come l'arrivo delle Locuste) ha sempre la certezza di chiudere in attivo, quanto per il cliente che vede spesso sacrificata la qualità degli ingredienti all'abbondanza delle portate. In questo locale un po' defilato rispetto al centro di Pavia, molto gradevole e curato nel design e nell'arredamento, siamo un po' a mezza via: certo, cuochi e personale sono cinesi e non giapponesi, come nel 99% degli omologhi, e alcuni piatti suonano piuttosto stereotipati e ripetitivi. Qua e là però spunta qualche "chicca" degna di nota, e del resto non potrebbe essere altrimenti, visto l'oceanico menu composto di oltre 100 pietanze differenti!
Di fronte a un panorama tanto ampio e variegato, l'errore peggiore sarebbe quello di farsi trascinare dall'ingordigia e ordinare più di quanto sia possibile mangiare (cosa che, ovviamente, le Locuste hanno fatto senza alcuna esitazione): una minacciosa nota sul menu avverte, infatti, che ogni piatto non consumato sarà pagato a parte. Si tratta però più di un deterrente che di un reale pericolo: i controlli non sono poi così rigidi... Per il resto, l'offerta all you can eat (23 euro bevande escluse) dà la possibilità di spaziare su ogni tipo di piatto, ad eccezione di quelli - più costosi - indicati da un apposito simbolo. Il consiglio è di non esagerare con gli antipasti: tra questi si possono assaggiare la tartare di salmone con olio di sesamo, gli harumaki (involtini fritti) e le koruke (crocchette di patate). Evitabili invece gli ebi gyosa (ravioli di gamberi). Potrebbe essere interessante assaggiare una zuppa come la osu mashi (con gamberi, surimi e alghe), a patto però che non ci si attendano sapori troppo marcati.
I piatti forti sono ovviamente quelli a base di riso e di pesce: gli udon, in particolare, contengono una gran quantità di riso con il preciso scopo di saziare il prima possibile il malcapitato cliente. Da provare, comunque, il riso con tempura misto e soprattutto il riso avvolto nelle foglie di loto, forse il piatto migliore; il peggiore è senza dubbio il kaisen don, pappetta di riso e pesce ai limiti del disgustoso. Meglio gettarsi sul tempura di verdure e di gamberoni, ben realizzato, e soprattutto sulle immancabili "barchette" di sushi, sashimi e nighiri di qualsiasi foggia e ripieno: tonno, salmone, gamberi, calamari, granchi, ma anche uova di salmone e ricci di mare. Per chi proprio non fosse sazio ci sono il chirashi (ciotola di abbondante riso con pesce) e numerosi piatti di pesce e carne alla griglia: tutto senza infamia e senza lode, più significativi i piatti - questi sì tipicamente cinesi - a base di manzo in umido e verdure o ananas. In quest'orgia di cibo quasi gratis, l'unica cosa che si paga è il bere: in lista, per fortuna, ci sono alcune bottiglie degne di nota come il buon Gewurztraminer delle cantine Toblino.
Di fronte a un panorama tanto ampio e variegato, l'errore peggiore sarebbe quello di farsi trascinare dall'ingordigia e ordinare più di quanto sia possibile mangiare (cosa che, ovviamente, le Locuste hanno fatto senza alcuna esitazione): una minacciosa nota sul menu avverte, infatti, che ogni piatto non consumato sarà pagato a parte. Si tratta però più di un deterrente che di un reale pericolo: i controlli non sono poi così rigidi... Per il resto, l'offerta all you can eat (23 euro bevande escluse) dà la possibilità di spaziare su ogni tipo di piatto, ad eccezione di quelli - più costosi - indicati da un apposito simbolo. Il consiglio è di non esagerare con gli antipasti: tra questi si possono assaggiare la tartare di salmone con olio di sesamo, gli harumaki (involtini fritti) e le koruke (crocchette di patate). Evitabili invece gli ebi gyosa (ravioli di gamberi). Potrebbe essere interessante assaggiare una zuppa come la osu mashi (con gamberi, surimi e alghe), a patto però che non ci si attendano sapori troppo marcati.
I piatti forti sono ovviamente quelli a base di riso e di pesce: gli udon, in particolare, contengono una gran quantità di riso con il preciso scopo di saziare il prima possibile il malcapitato cliente. Da provare, comunque, il riso con tempura misto e soprattutto il riso avvolto nelle foglie di loto, forse il piatto migliore; il peggiore è senza dubbio il kaisen don, pappetta di riso e pesce ai limiti del disgustoso. Meglio gettarsi sul tempura di verdure e di gamberoni, ben realizzato, e soprattutto sulle immancabili "barchette" di sushi, sashimi e nighiri di qualsiasi foggia e ripieno: tonno, salmone, gamberi, calamari, granchi, ma anche uova di salmone e ricci di mare. Per chi proprio non fosse sazio ci sono il chirashi (ciotola di abbondante riso con pesce) e numerosi piatti di pesce e carne alla griglia: tutto senza infamia e senza lode, più significativi i piatti - questi sì tipicamente cinesi - a base di manzo in umido e verdure o ananas. In quest'orgia di cibo quasi gratis, l'unica cosa che si paga è il bere: in lista, per fortuna, ci sono alcune bottiglie degne di nota come il buon Gewurztraminer delle cantine Toblino.
Trovi utile questa opinione?
00
Negozi
2013-02-15 07:54:49
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 15 Febbraio, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Febbraio 11, 2013
Recensione
Varrebbe la pena di affrontare un viaggio solo per assaggiare il delizioso passito L'Ecrù (Zibibbo e Malvasia), ma da questa cantina escono anche altri vini di pregio come il Cavanera Rovo delle Coturnie e Ripa di Scorciavacca.
Trovi utile questa opinione?
00
Negozi
2013-02-15 07:52:11
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 15 Febbraio, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Febbraio 11, 2013
Recensione
Dal poco noto vitigno Vernaccia Nera alcuni vini di grande spessore come il Robbione, affinato per 2 anni in rovere, e lo spumante rosato Blink.
Trovi utile questa opinione?
00
Negozi
2013-02-15 07:49:49
Locuste
Segnala questa recensione ad un moderatore
Opinione inserita da Locuste 15 Febbraio, 2013
#1 recensione -
#1 recensione -
Recensione
Data di visita
Febbraio 11, 2013
Recensione
Pasticceria che sforna eccezionali panettoni in vari gusti (frutti di bosco e gianduja tra i migliori).
Trovi utile questa opinione?
00
| 1235 risultati - visualizzati 411 - 420 | « 1 ... 39 40 41 42 43 44 ... 45 124 » | Resultati per pagina: |
Powered by JReviews
Ricerca rapida
Regione
Provincia







